Quest’anno tra Champions e nazionale non li abbiamo ancora battuti, dobbiamo provarci oggi e domani. Roma-Barça e Madrid-Juve si presentano come missioni impossibili, però se non riusciremo a fare miracoli abbiamo almeno il dovere di provare a prenderci qualche soddisfazione. Poi bisognerà lavorare in profondità per ripartire, perché l’eventuale euforia per uno o due ribaltoni oggi impensabili non dovrà distrarci e farci dimenticare ciò che emerge impietosamente dai numeri che accompagnano queste due pagine. Il confronto tra Spagna e Italia è impietoso. Per qualità del campionato, livello delle nazionali, vittorie dei club, interesse generato, soldi incassati, campioni scritturati. Eravamo molto avanti, siamo molto indietro.
RESULTADISTAS A CHI? – Gli spagnoli quando vogliono disprezzarci calcisticamente ci danno dei «resultadistas», termine che curiosamente è iniziato a circolare nella nostra lingua solo in tempi molto recenti. E allora partiamo dai risultati: 6 sfide tra squadre italiane e spagnole in questa Champions, 4 vittorie loro e due 0-0, ultimo feticcio a difesa della nostra impotenza offensiva: 12 gol a 1 per loro. Chiedete a Buffon, che ha preso 4 gol a Kiev dalla Spagna nel 2012, 3 a Berlino dal Barça nel 2015, 4 a Cardiff dal Madrid un anno fa, poi in questa nefasta stagione altri 3 dalla Spagna a Madrid, dal Barça al Camp Nou e dal Madrid a Torino. Immaginiamo che per Gigi aver eliminato il Madrid nel 2015 e il Barça lo scorso anno rappresenti una consolazione molto parziale. Dal 2000 le squadre spagnole hanno vinto 28 trofei Uefa (su 54…), noi 5. E a livello di nazionali giovanili in Europa nel nuovo secolo loro sono a 13, noi a 3.
LA PALLA, PROTAGONISTA – Non si tratta solo di Messi e Ronaldo, di Xavi e Iniesta che arrivano tutti insieme. Attorno c’è molto di più. Vivendo in Spagna da italiani la prima cosa che salta all’occhio è l’attenzione per la palla, per il gioco, lo sport, lo spettacolo, la qualità. «Da noi a 12 anni i ragazzini sono obbligati a pensare alla tattica», diceva ieri a «Radio anch’io Sport» Fabio Capello, criticando l’approccio al calcio dell’Italia attuale. In Spagna tutti (o quasi) vogliono giocare bene e provano a farlo. La cosa eleva il livello medio del prodotto, dei suoi protagonisti e genera successo. In giro per il mondo, e considerando solo le prime divisioni, ci sono oltre 300 calciatori spagnoli, dalla Premier League al Vietnam. Li prendono per la qualità, a vario livello. Nei grandi campionati europei gli spagnoli sono quasi due terzi più dei nostri, la Liga manderà al Mondiale un terzo in più di protagonisti e le liste degli ultimi Palloni d’Oro ritwittano la stessa foto: tanta Liga e poca Serie A. Perché se non hai i soldi e trascuri il vivaio difficilmente potrai ritrovarti con dei campioni.
FORMATIVI – Hanno le seconde squadre nei campionati nazionali e non Primavera imbottite di stranieri, e nessun timore di puntare sui giovani. Le cantere funzionano e Real e Barcellona guidano la lista dei grandi produttori di talento: hanno 75 giocatori nei primi 5 campionati europei, con 5 squadre spagnole (e le milanesi) nel Top 10. Se non sei abbastanza bravo per il Bernabeu o il Camp Nou lo sarai in luoghi importanti dove c’è minore esigenza. In Liga va più gente allo stadio, gli impianti sono più pieni, i diritti tv, tanto a livello nazionale come internazionale, costano molto di più, i fatturati sono incredibilmente più alti, gli sponsor più generosi, l’attenzione globale molto maggiore. Balotelli è il calciatore italiano più seguito nel mondo con i suoi 20,6 milioni di follower, Buffon è a 13,6. Iniesta a 71, Ramos a 60, Piqué a 53. E tra le stelle internazionali il gap è ancora più stridente: 317 milioni per Ronaldo contro i 18 di Dybala.
ORGANIZZAZIONE E VISIONE – Nello scorso weekend a Sorrento si è svolto il Torneo delle Sirene per i ragazzi del 2004: 16 squadre europee, vittoria dell’Atletico Madrid, alla prima partecipazione, sul Milan, detentore delle due ultime edizioni. La squadra spagnola ha viaggiato con un match analyst, che registrava le partite dell’Atletico e quelle degli avversari per farle vedere ai ragazzi. Perché non è che in Spagna la tattica venga ignorata. Tutt’altro: c’è organizzazione, visione, s’investe sul prodotto. La Serie A era l’Nba del calcio, loro fino al 2010 non avevano vinto un Mondiale. Ci guardavano con invidia e per attaccarci ci tacciavano di catenacciari: le posizioni si sono rovesciate, abbiamo il dovere di provare a ripartire.