Se volete trovare l’eroe di questa notte non cercatelo tra le maglie cerulee del Barcellona. Sparito, impalpabile, irriconoscibile. Smarrito tra i suoi problemi fisici degli ultimi tempi e quelli più complessivi, e inquietanti, di una squadra che si ferma ancora ai quarti di Champions. Leo Messi in questo stadio, 3.240 giorni prima, aveva vissuto una delle tanti notti indimenticabili, il gol allo United in finale e la seconda Champions della sua sfolgorante carriera. Di questa notte, nove anni dopo, porterà dentro solo le lacrime, tante e amare, e i fischi di uno stadio che non gli ha concesso tregua, più o meno come i difensori giallorossi. La maledizione italiana prosegue: in casa delle nostre squadre ha colpito solo il Milan, mai le altre.
DUE PUNIZIONI – A un certo punto quella zolla dell’Olimpico, a poco più di una ventina di metri dalla porta di Alisson, leggermente spostata verso la destra, è diventata il luogo più solitario della Terra. Dev’essere bello svegliarsi per un giorno, almeno uno, con i piedi di Leo Messi ma se il prezzo da pagare sono quei lunghi secondi di tormento, allora anche no, grazie lo stesso. La Pulce sistema il pallone, muove quegli occhi curiosi tutti intorno, mentre la regia indugia sul suo primo piano: guarda il pallone, la barriera, Alisson, pensa a dove può provare a metterla, quella punizione. E tutto intorno sessantamila persone a fischiarlo, come fossero ululati. Sono passati otto minuti dal fischio d’inizio, Messi guadagna e calcia la prima punizione della sua notte all’Olimpico: sinistro a giro, palla alta e anche oltre la proiezione del palo alla sinistra del portiere giallorosso. Parte sempre sul centrodestra, Messi, si ritrova in un triangolo definito dalle posizioni di Kolarov e Juan Jesus, innanzitutto, e poi da quella di De Rossi, quando prova ad accentrarsi. In un primo tempo complicato ci sono una trentina di secondi in cui s’illude di poter fare la magia: prima detta l’assist per Sergi Roberto, poi tenta lui la conclusione, senza fortuna.
SENZA GRAFFI – Ancora peggio nella ripresa. Finisce anche per perdere un pallone pericoloso, e allora va a prendersi anche il giallo. Poi fatica sempre: a trovare il pallone, a trovare un varco. Un numero al limite (29′) ma il sinistro è facile da bloccare. E alla fine, quando il disastro è già combinato, una percussione in area, un equilibrismo dei suoi per ciabattere un sinistro che non può spaventare Alisson, no. Chiude con cinque tiri complessivi, solo due nello specchio e tutt’altro che irresistibili, due occasioni offensive create. Ha giocato 61 palloni, ha ingaggiato 15 duelli, più di tutti i suoi compagni, ma ne ha vinti meno della metà. E ancora: un fallo fatto (con giallo), tre subiti (con ammonizione per Juan Jesus). Zero brividi per gli altri, solo rimpianti. Fuori ai quarti, ancora. Fuori ai quarti come l’ex maestro Pep. Ma non si erano dati appuntamento a Kiev per la finale?