“Il mio principale difetto è dire sempre quello che penso: sono fatto in questo modo”. In una delle prime interviste italiane Medhi Benatia si descriveva così. Sono trascorsi quindici anni, molti dei quali li ha vissuti in campo, da difensore centrale. Udinese, Roma, Bayern Monaco, Juventus. Poi Qatar e Turchia prima di dire stop, a dicembre 2021, perché non ce la faceva più. Medhi sembrava destinato a una carriera da agente. Due anni fa la svolta: lo chiama il Marsiglia, il club dove aveva mosso i primi passi, e accetta di corsa. Prima consigliere, da gennaio è il direttore sportivo. Definirlo ds, però, è riduttivo. Per averne un’idea basta vedere il documentario dell’OM in cui viene continuamente ripreso mentre, elegantissimo, parla ogni giorno, in ogni occasione, con l’allenatore e i giocatori. Cambia molti abiti, Benatia, ma ha sempre la stessa faccia.
Ha ancora lo stesso difetto? “Sì, ero così da calciatore e lo sono da dirigente. Anzi: a maggior ragione adesso. Da direttore devo essere onesto per risultare credibile. Quindi faccio il dirigente a modo mio: entro al centro sportivo la mattina alle nove, me ne vado alle sette di sera. Controllo tutto (mostra i fogli che ha sulla scrivania, ndr): i giocatori che mangiano di più o di meno, il loro peso, i chilometri percorsi, il tipo di allenamento. E per i ragazzi del settore giovanile è uguale: voglio sapere ogni cosa, da quale famiglia provengono, come vanno a scuola, come lavorano in campo, che tipo di educazione hanno. Una cosa so fare nella vita: occuparmi di calcio”. (…)
È vero che per il Marsiglia avrebbe voluto Allegri o De Rossi? “Noi avevamo cercato Fonseca. Era tutto fatto, c’era l’accordo, poi a maggio 2024, dopo che perdemmo a Bergamo con l’Atalanta, chiamò e ci disse che non se ne faceva nulla. Il 13 giugno era l’allenatore del Milan. A quel punto virammo su Conceiçao, ma quando abbiamo saputo che c’era la possibilità di prendere De Zerbi ci siamo detti con Pablo Longoria, il nostro presidente: “Cazz… proviamoci”. Spinti dal proprietario McCourt siamo partiti all’attacco”. (…)
Da dirigente è diventato più diplomatico. Ma se un suo giocatore facesse delle interviste tipo le sue di qualche anno fa? Lei non le mandava a dire a nessuno, da Allegri a Sabatini… Ride, ndr. “Cercherei di capire i motivi. Ma sono certo che non ci sia un giocatore, oggi e in futuro, disposto ad accusarmi di averlo tradito come sono stato tradito io. Vi faccio un esempio”.
Prego… “Lo scorso marzo chiamai Luis Henrique e gli dissi che avrei dovuto cederlo. Sapevo che c’era l’Inter e pure una certa cifra da incassare. Andai al campo, lo presi da parte dopo l’allenamento e gli spiegai tutto: “Ti dovrò cedere, ti vogliono, ma tu mi devi portare in Champions. Più giocherai bene, meglio sarà per il Marsiglia e anche per te”. Era impossibile interpretare le mie parole diversamente”. (…)
Nel documentario lei cita una frase: “Amor vincit omnia” e ne parla ai suoi giocatori. Racconta anche quanto sia stato forte l’amore per Roma, eppure è rimasto solo un anno… “Ci sono posti, tifosi, luoghi, ma anche colori e odori che ti restano dentro. Roma è così. Marsiglia è così”.
A Roma frequentava spesso l’ufficio di Sabatini… “Walter mi chiamava il venerdì o il sabato. In base a quello che gli dicevo capiva come sarebbe andata la partita. Ci rimasi male quando non mantenne le promesse sul rinnovo, ma conservo la stima. Anche nei confronti di Massara: sono felicissimo che sia alla Roma, l’ho chiamato per complimentarmi anche se all’inizio mi diceva che non era ancora fatta. Mi sono messo a ridere. Dài, non dire cazzate. So che vai lì ed è giusto così”. (…)
È vero che voleva Koné? “Sì. Quando stava al Borussia. I parametri economici erano alti per noi la scorsa estate ed è stata brava la Roma. Manu è veramente un gran bel giocatore”.
FONTE: Il Corriere dello Sport – C. Zucchelli











