Un’intervista con Vincenzo Montella è soprattutto una conversazione. Meglio ancora, un confronto. Non ci sono solo domande e risposte, non esistono solo giornalista e allenatore; c’è piuttosto un insieme di riflessioni che aiutano a scomporre la realtà da angolazioni diverse.
Montella non accendeva i microfoni da un anno e mezzo, dalla notte del doloroso esonero di Firenze, guarda caso provocato dalla squadra che più gli è rimasta nel cuore: la Roma, sì.
In questo silenzio autoindotto ha gestito con equilibrio la voglia di ripartire. Mettendo in discussione le certezze dell’ex giocatore per migliorare le conoscenze dell’allenatore. L’ abbiamo incontrato in un pomeriggio assolato nell’ufficio della Wsa, l’agenzia del procuratore Alessandro Lucci con affaccio mozzafiato sul Lungotevere, in compagnia dell’inseparabile fratello Emanuele.
E chiacchierando due ore filate in libertà, tra un caffè e una risata, un occhiolino e una punturina, è emerso l’uomo spigliato e determinato che aspetta l’occasione buona per rimuovere le ultime delusioni.
Al Milan che è successo? Certo che con I cambi di proprietà è proprio sfortunato… «Eh, lasci stare. Prima alla Roma, poi al Milan e infine a Firenze. Ma evidentemente non sono stato bravo io a gestire certe dinamiche. Non sono stato attento ai rapporti interni, che contano eccome. Questa è un’esperienza che mi servirà in futuro».
A proposito di Roma. E di Manchester United. Come finisce la semifinale? «Per me la Roma se la gioca alla pari. Non so se Fonseca meriti la conferma perché i matrimoni si fanno in due. Ma io lo apprezzo, anche per lo stile».
Con Dzeko, Fonseca è stato molto duro. Se Capello si fosse comportato allo stesso modo dopo la bottiglietta di Napoli… «Intanto, io non la tirai addosso a Capello, su. Ma indubbiamente da calciatore ero una testa di c***o, volevo giocare sempre, soprattutto in quel periodo. Stavamo vincendo lo scudetto e io mi sentivo più forte degli altri. Ma gestendomi in quel modo, facendomi incavolare, Capello seppe tirare fuori il meglio da me. Andai via dalla Roma quando mi resi conto che non mi arrabbiavo più».
La Roma, parole sue, è «un percorso incompiuto» «Due volte. Nel primo caso speravo di rimanere come allenatore e non è stato possibile. Peccato, mi sarebbe piaciuto impostare un progetto dall’inizio. Nel secondo hanno scelto un altro (Zeman), dopo vari sondaggi. Ci lasciammo male perché ci avevo creduto. Sì, nel 2012 mi sentivo l’allenatore della Roma».
Si raccontò di una brutta litigata con Franco Baldini… «Ci furono delle divergenze. Niente di grave, anzi con Franco mi sento ancora. E stimo Sabatini. Sinceramente non ricordo di averli cacciati di casa come si è detto. A distanza di anni comunque ho capito: mi volevano bloccare per evitare che prendessi altre strade, come spesso capita ai dirigenti, e intanto sondavano diversi allenatori. Purtroppo rimasi con il cerino in mano, ma nel calcio succede. E per fortuna mi chiamò subito la Fiorentina, dove facemmo cose straordinarie».
Tornerà alla Roma? «Ammetto che la Roma è una sorta di punto debole. E’ parte di me. Qui ho giocato, vinto, allenato. Magari non è troppo tardi per riprovarci. Ranieri a quanti anni ha realizzato il sogno di allenarla? Ecco, a me resta una decina d’anni per sperare… Ma non mi sto proponendo. Lo preciso per due motivi: uno perché Fonseca sta lavorando bene, si è adattato al calcio italiano facendo valere le sue idee, almeno quando la squadra era al completo. Due, perché se qualcuno avesse avuto il dubbio di telefonarmi, con questa intervista se lo toglierebbe». (ride, ndr)
Perché gli allenatori alla Roma durano poco? «Fonseca ha resistito già due anni, che non sono pochi. Credo però che nella Roma si avverta il peso delle vittorie che non arrivano. Le aspettative sono alte, si vorrebbe vincere subito».
Nel gruppo azzurro è tornato De Rossi, che ha preso una strada diversa da Pirlo… «Ha il mestiere dell’allenatore nel dna, ha fatto un’ottima scelta. Stando sul campo, accumulerà la giusta esperienza».
E Totti che farà da grande? «Qualsiasi cosa, credo. Dopo aver visto il suo documentario, lo vedo bene anche come attore… Siamo ancora amici: andiamo d’accordo perché non ci sentiamo tanto, siamo due persone riservate. Ci pensano le nostre mogli a tenerci uniti».
FONTE: Il Corriere dello Sport