La Roma e i Friedkin
“Mi hanno contattato il giorno stesso in cui fui esonerato dal Tottenham. La Roma mi ha voluto fortemente, è stata una cosa istantanea o quasi, la mattina il Tottenham mi ha esonerato e il pomeriggio la Roma mi ha chiamato. Loro mi hanno voluto, mi hanno fatto risentire la passione per il calcio che c’è in Italia e che conosco, specialmente a Roma dove non si vince un trofeo da 20 anni. I Friedkin, i nuovi proprietari con un approccio professionale e umile, mi hanno trasmesso il loro entusiasmo per questo nuovo incredibile capitolo professionale della loro vita, sono stati veramente obiettivi, onesti e sinceri con me, mi hanno fatto sentire la passione per questo lavoro, mi hanno colpito per come si sono approcciati a me. Ho commesso anche io degli errori e ho sbagliato ad accettare alcuni progetti, a volte mi hanno spinto a scegliere situazioni che non avrei dovuto… sono andato a Manchester in un momento di transizione, poi al Tottenham che non ha una storia di successi, e ora la Roma con una nuova proprietà, ma in questo caso con la Roma ho percepito subito grande empatia con i Friedkin, con Pinto, hanno stimolato in me il fuoco e la passione per questo lavoro, c’ho messo pochissimo a dire di sì e ora mi tufferò in questa missione impossibile, che definisco impossibile nel senso che la gente mi considera e mi guarda considerandomi in un solo modo: un vincente. Se tornassi in Portogallo ad allenare il Belenenses o il Gil Vicente e non vincessi, non lo chiamerei un successo”.
Ritorno in Portogallo “Se tutto va bene, i tempi, la volontà e tutto il resto, mi vedrei ad allenare la nazionale portoghese più che una squadra di calcio. Ma l’esperienza mi ha insegnato mai dire mai nel calcio che sembra un gigante ma alla fine finisce di essere piccolo; non dirò di no”.
Lo Sporting ha vinto il titolo “Penso che sia difficile indicare un unico motivo. A volte dico cose senza senso in portoghese perchè non ho le parole giuste in inglese. Penso che sia stato per una serie di motivi; ci sono stai molti fattori che hanno reso possibile e cerco di citarne alcuni: comincerei dal mio giovane collega, penso sia stato un leader, con qualche eccesso qua e la. Ho avuto la mia parte quando avevo la sua età ma ero un coraggioso ed ero un leader in quel gruppo, avevo un sacco di giocatori affamati, affamati in senso figurativo e con tutto il rispetto, una fame di vittoria, una fame di evolvere, una fame di raggiungere un altro livello. Non molte persone privilegiate, ricche e accomodanti. La direzione e il Presidente hanno il merito di averlo sostenuto e sto solo elencando gli aspetti positivi che lo hanno reso possibile (lo scudetto portoghese, ndr). Posso elencare anche altri punti. per una squadra come la loro giocare una partita a settimana è stato un grande vantaggio. Essere eliminati prematuramente dalle competizioni europee ha dato loro un grande vantaggio, specialmente se confrontato con i loro rivali del Porto il cui successo nelle competizioni europee li ha portati a giocare partite molto difficili, due partite con la Juventus, due con il Manchester City e due contro il Chelsea. Questo è a un livello molto superiore a quello che si gioca in Portogallo ed era molto più difficile tenere il passo dello Sporting vista la stanchezza; insomma è stata una combinazione di più fattori che fa bene al calcio portoghese e mi congratulo con loro, se lo meritano”.
Hai vinto la Coppa UEFA 18 anni fa. Cos’è cambiato nel calcio da allora? “Dipende. C’è l’interno del calcio e l’esterno… I cambiamenti più grandi sono stati all’esterno. In campo il gioco si è evoluto in modo naturale. Anche le regole sono cambiate, con l’effetto di cambiare l’approccio a questo sport. Fuori le cose sono cambiate a tutti i livelli. Credo che questo cambiamento si fermerà solo quando i computer smetteranno di prendere decisioni per noi. Siamo al punto in cui dobbiamo ricavare il meglio di ciò che la tecnologia ci dà. Ma stiamo andando verso l’intelligenza artificiale che non sarà così tradizionale al punto da dirgli di no e rifiutarlo, perchè non lo farò. Usare tutti i dati generati da esso se nza compromettermi come allenatore. Non sarà nei miei tempi, ma ci arriveremo”.
Sull’impatto del VAR “Per cominciare in maniera oggettiva e pragmatica lasciami dire che non festeggio più i gol. Per la mia esperienza ogni volta che la mia squadra segnava un gol guardavo il guardalinee, e se correva verso il centrocampo esultavo immediatamente. Ora guardo lo schermo o il monitor che posso avere accanto in panchina, aspetto, aspetto, aspetto, e sono sicuro sia gol solo quando il gioco riprende a centrocampo. Al livello emozionale è una grossa differenza. Prima del VAR c’è stata l’introduzione della Goal Line Technology, che per me è sempre stata fantastica. Specialmente considerando che ho perso una Champions per un pallone che non era entrato completamente. Per quanto riguarda il VAR, nelle prime riunioni ci dissero che serviva a correggere errori grossolani. Pensammo fosse ottimo, nessuno vuole perdere o vincere per errori ovvi. Ma un conto è quello che ci dissero, un altro è come si comportarono. siamo ad un punto in cui chi controlla il calcio deve fare qualcosa. Per me un errore evidente è quando 10 persone guardano una partita e sono tutte d’accordo che l’arbitro abbia sbagliato. Ho parlato con molti arbitri per un sacco di tempo e tutti dicono che non vogliono commettere errori evidenti per poi andare a casa e rimanere a pensare che hanno influito decisivamente sul risultato di un match, e che vorrebbero essere corretti dal VAR. Questo è quello che doveva succedere, ma che non è successo. Il calcio sta cambiando e i sentimenti attorno ad esso cambiano con lui”.
Sulla Super Lega “Ho 58 anni e più di 30 di calcio professionistico alle spalle, ma sono ancora il bambino che giocava davanti casa sua con delle porte i cui pali erano dei sassi. Sono ancora quel bambino. E quando qualcuno mi parla di Super Lega, anche se è parte dell’industria di cui io vivo, preferisco continuare ad essere quel bambino e continuare a condividere quel sentimento con il ragazzo di 20 anni che ho a casa, e che mi ricorda della mia giovinezza. Credo di aver detto già tutto al riguardo”. (…)
Sulla famiglia e i trasferimenti “Preferisco parlare del risultato: due giovani, cittadini del mondo, con molti amici e che hanno grande facilità di integrarsi e socializzare. Preferisco parlare di questo piuttosto che del fatto che in certi momenti non è stato facile. Per me sì, ma non per gli altri componenti della famiglia. Non ho rimpianti e sono felice sia andata così. Siamo un po’ dipendenti e indipendenti dai nostri figli. Diamo loro spazio per correre ma allo stesso tempo gli stiamo sempre incollati. Hanno la loro vita, la loro indipendenza. Noi abbiamo bisogno di loro e loro di noi, a volte stiamo insieme ed altre divisi. La nostra base è Londra, perchè è la base dei ragazzi. Ma staremo insieme anche a Roma, in Portogallo – che è e sarà sempre casa nostra -… E’ così, dipendenti-indipendenti.
I social “Su Instagram ho il mio unico account social ufficiale. Utilizzandolo mi proteggo, postando quello che voglio senza leggere commenti, seguire altri… Insomma cerco di non dar retta ai messaggi di supporto o aggressivi. Nel mondo del calcio qualcuno la vede diversamente da me. La mia sensazione è che la carta stampata di un tempo doveva fare i conti con molte più responsabilità. C’era un’etica diversa che oggi non riscontro più. I social media ti permettono di copiare e incollare, e il più delle volte da quello che vedo ciò che viene incollato è una bugia. Quindi c’è una diffusione enormemente maggiore di bugie e speculazioni perchè di tutto questo non si risponde in nessun modo. Tornando alla tua domanda, soprattutto nel calcio inglese succede che un account anonimo ti permette di fare attacchi razzisti, xenofobi, omofobi e tutto il resto. In Inghilterra si discute molto di questa questione, e non c’è molto che i club e i loro tesserati possano fare al riguardo, pur avendo grosse istituzioni alle spalle. Devono essere i giganti social a cambiare le cose vietando che si insultino le famiglie o che si offenda in modo razzista”.
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FONTE: GQ Portugal