Nils Liedholm è stato il più grande allenatore della nostra storia, ha fatto vincere uno Scudetto alla Roma dopo 41 anni (sapete quante vite ci sono in 41 anni?), superando la Juve con sette campioni del mondo più Platini e Boniek, dopo che già due stagioni prima l’aveva vinto a Torino con Turone; ha vinto più di qualsiasi nostro altro allenatore (4 trofei: quello Scudetto, tre Coppa Italia e una di quelle ne vale sei-sette di oggi), ci ha portati dove non solo non eravamo mai stati prima, ma dove nemmeno sognavamo di stare, in quella finale in cui un giorno torneremo a battere l’ultimo rigore.
Ma ancora prima di questo – che è già tutto – la Roma di Nils Liedholm è stata uno stile, un assioma, una vita, un idioma. Un’epoca. La nostra.
Per come giocava e come vestiva il campo era un grande spettacolo estetico, di flemma, grazia e morbidezza. La sua. Trottava che pareva una sfilata e poi di corsa all’arrembaggio sotto la Sud. Una sonata al chiaro di Roma e poi l’inno alla Gioia.
La vera “Ssona” del Barone è quella dove la gente allo stadio si è confusa ed è stata felice.
La partita era un enorme gesto bianco, come il pallone, tocchi che erano colpi da tennis, tacchi che erano tocchi da golf, tiki taka che non aveva bisogno di slogan o definizioni esotiche: era la ragnatela della Roma campione che all’Olimpico te ne faceva tre. Olé. Olé. E olé.
Se oggi un ragazzino chiede chi era Liedholm fategli sentire quello che ha detto Mourinho il giorno in cui si è presentato a Roma. Diglielo José: “Qui nessuno può essere paragonato a Nils Liedholm”. Basti.
Nils Liedholm è stato il più grande allenatore della nostra storia, ha fatto vincere uno Scudetto alla Roma dopo 41 anni (sapete quante vite ci sono in 41 anni?), superando la Juve con sette campioni del mondo più Platini e Boniek, dopo che già due stagioni prima l’aveva vinto a Torino con Turone; ha vinto più di qualsiasi nostro altro allenatore (4 trofei: quello Scudetto, tre Coppa Italia e una di quelle ne vale sei-sette di oggi), ci ha portati dove non solo non eravamo mai stati prima, ma dove nemmeno sognavamo di stare, in quella finale in cui un giorno torneremo a battere l’ultimo rigore.
Ma ancora prima di questo – che è già tutto – la Roma di Nils Liedholm è stata uno stile, un assioma, una vita, un idioma. Un’epoca. La nostra.
Per come giocava e come vestiva il campo era un grande spettacolo estetico, di flemma, grazia e morbidezza. La sua. Trottava che pareva una sfilata e poi di corsa all’arrembaggio sotto la Sud. Una sonata al chiaro di Roma e poi l’inno alla Gioia.
La vera “Ssona” del Barone è quella dove la gente allo stadio si è confusa ed è stata felice.
La partita era un enorme gesto bianco, come il pallone, tocchi che erano colpi da tennis, tacchi che erano tocchi da golf, tiki taka che non aveva bisogno di slogan o definizioni esotiche: era la ragnatela della Roma campione che all’Olimpico te ne faceva tre. Olé. Olé. E olé.
C’è una foto in cui si vede lo stupore (e la gioia) di Geppo mentre sta per abbracciare l’allenatore che lo ha fatto felice.
Se ci pensate è la primissima immagine della Roma tricolore dopo quei 41 anni. Ed è splendida. Geppo era un poeta, era un ragazzo della Sud che ha inventato parole e musica di gran parte dei cori da stadio e che ancora oggi cantano tutti.
Geppo è il popolo, Liedholm è il Barone.
Se ci pensate è la Roma: non la vedete? Sangue e oro, aristocratica e popolare, sampietrini e Papi, vicoli e Re. Il dna di quello che siamo: l’intreccio, il dna stesso. Ossimori apparenti come i paradossi per cui ancora oggi tutti ricordano Nils Liedholm: “Scarnecchia è come Eder”, “Como squadra più forte del mondo”, “si gioca meglio in 10” e tanti straordinari eccetera.
Le stelle, il vino, il mago Maggi , le tasche con dentro il sale e le zampe di gallina, lo zuccotto, le bottiglie di Cuccaro, il sorriso e il sole negli occhi. (…)
FONTE: Roma TV