A cavallo tra i fasti del 2006 e la ricostruzione della Nazionale italiana affondata in Sudafrica, sono stati diversi i calciatori che si sono distinti nella speranza di ripercorrere le orme dei giganti azzurri: Federico Balzaretti è indubbiamente uno di questi. Il terzino mancino, tra i protagonisti dell’Europeo del 2012, ha appeso gli scarpini al chiodo già da un po’ di tempo, ma è sempre rimasto nel mondo del calcio. Balzaretti ha rilasciato un’intervista in esclusiva a Soccermagazine parlando della sua carriera e non solo, toccando alcuni argomenti d’attualità.
Ormai sono passati 5 anni dalla tua ultima stagione in campo. Che effetto ti fa vedere il calcio italiano e la Nazionale da fuori, adesso? “Mah, lo stesso effetto, nel senso che ho una passione per il calcio smisurata che è la cosa che mi contraddistingue, secondo me. Qualsiasi sia il ruolo: sia in campo, o in una direzione sportiva come è stato nella Roma o adesso da commentatore televisivo, provo la stessa passione, lo stesso amore per questo sport, la stessa energia e voglia, lo stesso piacere di vedere partite e stare in campo. Mi piace, mi piace molto. È un mondo che dal mio punto di vista non perde mai di fascino”.
Di fatto la tua esplosione da calciatore è avvenuta tra gli anni di Juventus e Palermo. Quand’è che effettivamente hai capito che avresti potuto dire la tua sui grandi palcoscenici? “Non c’è stato un momento in particolare. È stata una cosa che è andata avanti giorno per giorno. La consapevolezza più grande di poter giocare a livelli importanti ce l’ho avuta con la Juventus, quello sì. Perché riuscire a fare tante presenze in una squadra di campioni, affacciarsi alla Champions League e allenarsi tutti i giorni con campioni di straordinario livello ti fa obiettivamente alzare il livello tuo. Ti fa capire di essere a livelli importanti, però una volta che poi ci arrivi li devi mantenere”.
“Anche il fatto di aver raggiunto poi la Nazionale a 29 anni è una cosa che mi fa assolutamente piacere. Perché vuol dire che ho fatto tanta gavetta, che per arrivare al livello massimo che un calciatore italiano possa raggiungere, tutte le tappe che ho fatto erano parte di me. Dalla Serie C fino ad arrivare alla Nazionale maggiore, col tempo. Effettivamente rispecchia il mio modo di vivere, di pensare il calcio e di lottare e di migliorarsi giorno per giorno. Il fatto di essere arrivato tardi per me è motivo di soddisfazione doppia”.
Durante l’esperienza a Palermo in molti indicavano Balzaretti come l’erede di Grosso e Zambrotta in Nazionale, ma la prima chiamata è arrivata a fine 2010. Non ci sono mai stati segnali per i Mondiali in Sudafrica con Lippi? “No, non ci sono mai stati. Non sono mai stato chiamato, per cui non c’era il sentore. C’era forse una possibilità in uno stage. Ho avuto pochissimi infortuni, a parte quello grande a fine carriera, ma di muscolari pochi e uno è stato proprio prima di questa eventuale convocazione di cui io non sapevo. C’era una voce, ma non c’è stato mai nulla. È vero che nel 2009 e nel 2010 andavo particolarmente bene, però non c’era mai stato nulla e non pensavo in quel momento di andare a fare il Mondiale. Non c’era stata nessuna chiamata nei due anni precedenti di qualificazione. Giustamente l’allenatore della Nazionale tende, come normale che sia, a scegliere il gruppo che ha partecipato alle qualificazioni o che conosce meglio”.
A proposito di Nazionale, le presenze sono 16: provando a indovinare, possiamo dire che la tua migliore partita sia stata la semifinale contro la Germania, giocata peraltro fuori ruolo? “È anche quella che effettivamente ricordo con maggiore piacere, concordo. È stata una partita veramente di altissimo livello. Poter giocare in entrambe le fasce è stata una delle doti più importanti della mia carriera e per un mancino è una cosa ancora più rara e difficile. Ci sono dei destri che giocano a sinistra, ma i mancini che giocano a destra sono pochi. Un po’ tutta la mia carriera è stata contraddistinta da questo”.
“Molti chiaramente non lo ricordano perché è difficile da ricordare, ma ho iniziato anche in Primavera a giocare tanto a destra. Col Varese, col Toro perché c’era Castellini a sinistra… la mia prima partita in Serie A a San Siro contro l’Inter l’ho giocata a destra, la seconda partita contro la Lazio in cui ho vinto quello che all’epoca era il premio “Tele +” di miglior giocatore l’ho giocata a destra. La semifinale dell’Europeo l’ho giocata a destra e mi è andata molto bene ed effettivamente è una delle partite della mia carriera che ricordo con maggior affetto”.
Per la duttilità ti rivedi un po’ in Spinazzola, oggi? “Spinazzola lo rivedo molto in Zambrotta più che in me, è un destro che gioca a sinistra. Di mancini che giocano a destra forse non ce n’è nessuno. Io ho avuto la fortuna nel settore giovanile di avere un allenatore che mi faceva giocare da quel lato, che quando vincevamo 5-0 o 6-0 ci cambiava di fascia. Per cui il mio uso del piede destro era buono, non eccellevo nel sinistro ma calciavo bene anche col piede “sbagliato”. Questo mi ha aiutato. Spinazzola lo rivedo molto più nel modo di giocare, nello stile, nella corsa e nelle caratteristiche di Zambrotta”.
FONTE: soccermagazine