Negli anni 2000 Marco Cassetti è stato indubbiamente tra i difensori più in vista della Serie A, togliendosi più di una soddisfazione con le maglie del Lecce e della Roma. I colori giallorossi erano nel suo destino, insomma. Tanti sono quindi i ricordi e gli aneddoti che legano l’ex calciatore alle squadre in cui ha militato. Cassetti ha rilasciato quindi un’intervista in esclusiva a Soccermagazine parlando della sua carriera e non solo, toccando alcuni argomenti d’attualità.
Il goal nel derby è con ogni probabilità la rete alla quale sei maggiormente legato. Fu particolarmente significativa perché oltre a regalare la vittoria ai giallorossi fu segnata al 77′ da te che avevi la maglia n° 77. In quell’occasione ti fornì l’assist Vucinic, già tuo compagno al Lecce. Era una cosa che avevate già provato? “No, mi sa che era il primo assist che mi fece. È nata così, un’azione un po’ particolare che si è chiusa col mio goal, nato dallo sfruttamento degli spazi. Ci siamo mossi molto bene su quella ripartenza”.
Sei riuscito a dormire quella notte? “No, assolutamente no. Si è festeggiato…”.
Il Lecce tuo e di Vucinic ti ricorda un po’ quello attuale dal punto di vista dello slancio offensivo? Si può trovare qualche similitudine? “Non credo, anche se è molto difficile perché comunque è cambiato tanto, però non penso che si possa paragonare il Lecce attuale al nostro. Senza nulla togliere a quello di adesso. Il Lecce che avevamo era una squadra di tanta qualità perché avevamo degli interpreti molto forti in tutti i ruoli e avevamo un allenatore che era proprio propenso solo alla fase offensiva e poco a quella difensiva. Forse per quello non avevamo quell’equilibrio e in partite in cui eravamo avanti di 3 goal abbiamo perso, come per esempio con l’Udinese in Coppa Italia che abbiamo perso 5-4 in casa. Partite anche abbastanza strane, pazze. Non mi sembra di poter paragonare, con tutto il rispetto che ho il Lecce di quest’anno, il nostro a questo. Il Lecce di quel tempo era molto più forte”.
Rispetto ai tempi in cui tu giocavi, pensando anche all’avvento dei social, credi che il modo di vivere partite come il derby sia cambiato in peggio nel corso degli anni? “Il tempo va avanti, il mondo si evolve. Non so se possa essere una cosa favorevole o uno svantaggio. Per come posso ragionare io, può essere vista come una cosa che ti porta via un po’ di concentrazione e di energia mentale. Tantissimi calciatori di adesso sono nati nel nuovo millennio e bisogna stare un po’ anche al passo coi tempi. Loro sono cresciuti con questa educazione, con questo modo di vivere e di conseguenza si sono adeguati anche loro, quindi non so se possa essere una cosa favorevole o no. Certo che adesso sei molto più in vista, poi ci sono giocatori che sono molto più attivi sui social e altri meno. Sei molto più nell’occhio del ciclone quando magari le cose non vanno bene, è un po’ un cane che si morde la coda. Bisogna stare attenti e usarli in modo intelligente, che è la cosa più importante”.
Che cosa significa giocare con Francesco Totti? “Avere la fortuna di giocare con uno dei giocatori più forti e simbolici del calcio italiano e a livello mondiale”.
Visto che tempo fa sei stato anche impegnato con lui nel “Mondiale delle leggende”, sinceramente, rivedendolo da vicino e considerando la qualità media della Serie A, ritieni che fosse davvero arrivato il momento del ritiro o che avrebbe potuto continuare come desiderava? “Se lui se la sentiva a livello fisico poteva continuare sicuramente, però sono discorsi e dinamiche particolari. Allora anche adesso potrebbe scendere in campo Baggio. È normale che lui ci tenesse a continuare perché comunque non è mai facile per un giocatore – in più così importante come è stato lui – riuscire a staccare questo cordone che è stata la tua vita fin da bambino e a ritrovarti da un giorno all’altro a non fare quello che ti è riuscito meglio. È molto complicata la cosa. Anche io quando ho smesso non avrei mai voluto smettere, però a un certo punto devi spegnere l’interruttore e ripartire”.
Per un paio d’anni hai giocato anche in Inghilterra, nel Watford. Una volta Diamanti ci ha detto che il suo più grande rimpianto è stato lasciare il West Ham. Quante differenze noti con il calcio italiano considerando che in quello inglese anche le squadre più piccole riescono a far sentire importantissimi i propri giocatori? “È un abisso. Un mondo completamente diverso. Il calcio inglese è un mondo dove c’è molta meno pressione rispetto all’Italia e quindi si vive anche la quotidianità dell’allenamento e della partita in modo più sereno. Questo secondo me, siccome è stata un’esperienza che ho provato sulla mia pelle, ti fa anche rendere di più. Sotto tanti aspetti, non solo quello agonistico. Anche sotto l’aspetto degli infortuni: ne hai di meno perché se sei stressato mentalmente di conseguenza anche il fisico, i muscoli sono più soggetti a stare lì in tensione e sono più facili da infortunare. Io di fatti sono andato lì a 35 anni e il primo anno ho fatto 42 presenze e non ho mai avuto un infortunio muscolare in un anno. Questo mi ha fatto capire tanto. Io ero in Championship, Serie B inglese, forse ancora più fisica rispetto alla Premier League, dove magari c’è molta più qualità e meno dinamismo. In 46 partite di campionato più i playoff qualche partita è saltata o per squalifica o magari per qualche botta, ma non per infortunio muscolari come lesioni o cose del genere”.
Nel periodo d’oro della tua carriera vanti anche diverse apparizioni in Nazionale, sia nelle due gestioni di Lippi sia con Donadoni. C’è un pizzico di rimpianto per non aver partecipato ad una grande competizione, specie ai Mondiali del 2010 per i quali si stava facendo anche il tuo nome? “Beh, sicuramente. A chi non sarebbe piaciuto partecipare? La prima volta sono andato in Nazionale con Lippi quando ero ancora a Lecce e stavo facendo bene, poi avevo fatto una tourneé in America l’anno precedente ai Mondiali, nel 2005, dove però mi ero presentato con un principio di pubalgia che mi frenava molto. Però, siccome era la mia prima convocazione non dissi nulla e andai senza nessun tipo di problema. Sicuramente non avevo fatto bene, ma è stato tutto corretto. Un po’ di rimpianto c’è solo perché non sono arrivato nelle migliore condizioni fisiche per potermi magari giocare le mie chance, però va bene così”.
Con quale calciatore della Roma attuale ti sarebbe piaciuto poter giocare? “Sostituire qualcuno della Roma di quel tempo mi è difficile, ma non per un fatto qualitativo, anche affettivo. Avevamo un gruppo veramente incredibile. Ce ne sarebbero, ma non dico nessuno”.
Attualmente è in corso una polemica sull’assegnazione dello scudetto, con Juventus e Lazio in prima linea. Tu sei per i playoff o cercheresti un’altra soluzione? “È un discorso molto complicato, perché comunque in 12 partite che mancano da qua alla fine della stagione regolare qualsiasi squadra potrebbe risalire. Ad esempio, in 12 partite la Roma avrebbe tutte le opportunità di scavalcare l’Atalanta che magari incapperebbe in un periodo negativo e la Roma arriverebbe tra le prime 4. Perché in questo momento la classifica dovrebbe finire così e la Roma non partecipare alla Champions? Io spero vivamente che questa situazione che stiamo vivendo si possa risolvere prima o poi nel migliore dei modi, chiedendo comunque un sacrificio a tutti, giocando magari una partita a breve distanza dall’altra per riuscire a finire e avere un esito un po’ più normale. Anche se non sarà sicuramente lo stesso ricominciare magari dopo due mesi e mezzo di inattività”.
FONTE: soccermagazine.it