Più di trent’anni nel Milan, la carriera dedicata ai rossoneri. Dirigente, team manager, collaboratore dei tanti tecnici che si sono succeduti nel corso del tempo sulla panchina milanista. Ha dato l’anima al Diavolo, nel vero senso della parola. Ma Silvano Ramaccioni è stato sempre dietro le quinte, senza mai apparire troppo. Classe 1929, talvolta veniva immortalato in panchina dalle telecamere o dalle macchine fotografiche facendosi notare con i suoi baffoni. Da qualche anno Milanello non è più la sua seconda casa, adesso è in pensione: “La carta d’identità non mi permette più di lavorare, ma ho vissuto malissimo il cambio di proprietà lo scorso anno”.
Perché ha vissuto male il passaggio di proprietà? “Non mi sarei mai aspettato che Berlusconi vendesse il Milan dopo tutto quel tempo e dopo i tanti trofei vinti nel corso degli anni. Per me è stato uno shock vero e proprio. Sono rimasto letteralmente stravolto dalla cessione al gruppo cinese. E le dico di più…”.
Prego… “Non ho più visto il Milan per tutta la scorsa stagione, né in televisione e neanche allo stadio. Nemmeno un minuto. Non ce l’ho fatta”.
Ma possibile? Lei, così milanista, non ha più seguito la sua squadra? “Sì, è la verità. Guardi, non ho visto per niente bene quest’evoluzione. Capisco che le cose cambiano, ma non sono riuscito ad abituarmi subito. Non ho accettato quella fase di passaggio e tutte le successive controversie sul campo e fuori. Ora le cose sembrano migliorate, la famiglia Elliot appare solida e ambiziosa. Sono tornato a vedere e a tifare il mio Milan”.
In che anno lei arrivò al Milan? “Entrai in società con il presidente Farina nel 1982. Fui uno dei pochi che furono scelti successivamente da Silvio Berlusoni per i vari ruoli di cui fui incaricato. Un onore, Berlusconi è stato un uomo fondamentale per la mia vita e – naturalmente – per il club a cui ha regalato fama e vittorie. Ma vorrei menzionare un altro personaggio che ha fatto tanto per questa società e che voi a Roma conoscete bene”.
Ovvero? “Nils Liedholm. Il “Barone” ha preparato il terreno per i successi poi raccolti da Sacchi e da Capello. Ha lanciato in prima squadra Maldini e Costacurta. Ha trasmesso alla squadra i concetti di zona e di calcio moderno. Con lui avevo un rapporto speciale”.
Nel 1984, Liedholm tornò al Milan dopo lo scudetto della stella del 1979 e si portò dietro pure Agostino di Bartolomei dalla Roma. Lei c’era… “Io c’ero e ho conosciuto bene Ago, era un uomo speciale e un calciatore molto forte. La sua scomparsa in quel modo assurdo fu un dolore grandissimo”.
Ha menzionato anche Capello, che a Roma ha vinto uno scudetto nel 2001 da allenatore. “Fabio ha avuto il merito di vincere dove Sacchi era riuscito, ma solo in parte. Faccio riferimento al campionato italiano. Gianni Brera scrisse che Arrigo fu molto bravo in Europa, ma che in Italia perse qualche torneo di troppo. Esagerò, probabilmente, ma Capello in Italia ha conquistato tre titoli di fila e poi un quarto subito dopo. Non solo, ha vinto pure a Roma dove è difficilissimo vincere. Si è affermato a Madrid e a Torino con la Juventus. Il suo valore di tecnico resta indiscutibile”.
Venerdì sera vedrà la sfida di San Siro? “Certamente. E per me è favorita la Roma, sulla carta non c’è partita soprattutto perché in trasferta vince spesso e si esprime al meglio. Ma considerando la fame del Milan, al debutto casalingo in questa stagione, alla fine ne uscirà un pareggio. Vedremo”.
Ricordi dei suoi Milan-Roma o Roma-Milan? “Tante partite emozionanti, piene di gol. Due squadre molto forti, che volevano sempre primeggiare. All’Olimpico è impossibile non innamorarsi della tifoseria giallorossa quando canta l’inno di Venditti prima della gara. Da brividi, veramente”.
Grazie, Silvano… “Grazie a voi. Se mi avete chiamato è perché qualcosa di buono per il calcio l’ho fatta anche io. Mi fa piacere davvero”.