Un anno di svolta. Emotiva, tecnica, progettuale. Il 2017 della Roma passerà alla storia per un evento epocale: Francesco Totti ha smesso di giocare dopo 25 stagioni vissute con la stessa maglia e si è messo la divisa da dirigente. L’addio doloroso ha commosso il mondo intero e ha steso i romanisti nel pomeriggio di un 28 maggio solenne, interminabile (e indimenticabile) e lasciato una «vittima» sul campo: Luciano Spalletti. Il tecnico toscano si è sbattuto alla spalle la porta di Trigoria per la seconda volta dopo le dimissioni improvvise del 2009, di nuovo in piena polemica con tutto e tutti, dilaniato in primis dalla gestione del fine carriera di Totti. Dopo avergli allungato la vita calcistica di una stagione pungolandolo, poi Spalletti è riuscito a passare dalla parte del torto, fra frecciate, ripicche e fantasmi vari.
I NUMERI – L’anno giallorosso è stato lungo, intenso, con tanti momenti positivi e qualche battuta d’arresto difficile da digerire. Aspettando di chiudere il 2017 col Sassuolo all’Olimpico sabato prossimo, le 52 partite giocate sin qui in quattro competizioni (campionato, Coppa Italia, Champions ed Europa League) raccontano di 36 vittorie, appena 5 pareggi e 11 sconfitte, col record di 12 trasferte consecutive da tre punti in Serie A. Ma riuscire a centrare il successo nel 69% delle gare disputate non ha risolto il problema principale da ormai un decennio a questa parte: la mancanza di un trofeo. A un certo punto la Roma, spinta da due dimostrazioni di forza in serie contro Inter e Villarreal, ha pensato di poter finalmente riaprire la bacheca impolverata. Un sogno svanito nel giro di otto giorni a marzo: prima ha compromesso la semifinale di Coppa Italia, facendosi battere 2-0 dalla Lazio nel derby d’andata, poi ha perso in casa col Napoli, quindi si è fatta su perare 4-2 dal Lione nel primo ottavo di Europa League. I due propositi di «remontada» sono sfumati uno dietro l’altro, in campionato la Juventus ha continuato a correre ed è finita davanti di 4 punti. La Roma ha chiuso la prima parte del 2017 comunque con il sorriso (Totti a parte): il gol di Perotti al 90’ con il Genoa ha consentito ai giallorossi di finire secondi davanti al Napoli ed evitare la gogna dei preliminari di Champions, già fatali nell’estate 2016. La squadra di Sarri ha fatto meglio nell’anno solare preso per intero, con 96 punti (in 38 gare) conquistati in serie A contro gli 87 (in 37) dei giallorossi, terzi in graduatoria dietro la Juventus (93 in 39 match).
PROTAGONISTA – In questo periodo di stenti sotto porta non va di moda, ma la palma di «uomo dell’anno» non può che essere assegnata ad Edin Dzeko. Il capocannoniere della squadra (e dello scorso campionato, senza dimenticare l’Europa League) con 32 reti gonfiate in 50 presenze tra tornei italiani e competizioni Uefa. Ecco, forse il dato più impressionante è quest’ultimo: il bosniaco ha saltato appena due partite in tutto il 2017 e la bilancia pende decisamente verso il positivo. Si è caricato spesso e volentieri la Roma sulle spalle, ha deciso partite delicate e ha ottenuto una bella rivincita dopo l’anno d’esordio sotto tono. Ma non è bastato a convincere tutti.
RIVOLUZIONE– Non solo Totti a segnare la svolta. L’estate scorsa è iniziata l’era di Monchi, il direttore sportivo dei miracoli a Siviglia scelto da Pallotta per proseguire il lavoro svolto da Walter Sabatini. Un altro che ha lasciato la Roma tutt’altro che serenamente, ripartendo dall’Inter insieme a Spalletti. L’uomo venuto dalla Spagna si è presentato a Trigoria in punta di piedi ma con tanto coraggio, visto che il suo primo passo mediatico è stata proprio quella di annunciare la fine della carriera del giocatore più importante della storia del club. Ha provato nel frattempo a convincere Spalletti a restare, quando ha preso atto che era impossibile ha deciso di sostituirlo con un altro allenatore italiano, per non pagare uno scotto troppo alto nel passaggio dalla Liga alla Serie A. Così Eusebio Di Francesco è potuto tornare «a casa», dove quel giorno lo ha è andato ad accogliere nel parcheggio proprio Monchi. Un’altra mossa per nulla banale, accompagnata da timori e scetticismo, spazzati via piuttosto in fretta dal lavoro del tecnico abruzzese. Passare dal 4-2-3-1 di Spalletti, con quella difesa «a tre e mezzo» che garantiva equilibrio, al 4-3-3 di stampo «sassuoliano» non è stato semplice. A maggior ragione perché nel giro di pochi giorni Monchi ha dovuto vendere tre pedine come Salah, Rudiger e Paredes per far quadrare i conti in bilancio. Il mercato in entrata è stato poi scoppiettante e s’è chiuso con l’arrivo dell’acquisto più caro della storia giallorossa: Patrik Schick, un investimento complessivo da 42 milioni di euro che, per vari motivi, non sta ancora dando i suoi frutti. Ma ha tutto il tempo e le qualità per farlo.
RINASCITA EUROPEA – La conquista più importante dell’anno solare è senza dubbio la dignità che la Roma si è ricostruita in Champions. Dopo tante delusioni, ha vinto il girone più difficile della sua storia, arrivando davanti a corazzate come il Chelsea di Conte e l’Atletico Madrid di Simeone. Chi l’avrebbe mai detto al momento del sorteggio? Nessuno. La vittoria sui campioni d’Inghilterra rappresenta, insieme all’ultimo derby, la prestazione più convincente della nuova Roma targata Di Francesco. E ora c’è la prospettiva di ripartire con una doppia sfida alla portata negli ottavi contro lo Shakhtar Donetsk: passare il turno vorrebbe dire eguagliare il punto più alto della storia da quando esiste la Champions League.
L’OK ALLO STADIO – Insomma un anno ricco di significati tecnici, ai quali va aggiunto un risultato fondamentale raggiunto dalla società: l’approvazione definitiva del progetto di costruzione dell’impianto di proprietà a Tor di Valle. È il lieto fine dopo un percorso burocratico interminabile, che porterà alla posa della prima pietra nel 2018. Lo stadio è la garanzia per un futuro migliore a lungo termine, per l’immediato ci sarà bisogno di rimettersi a marciare sul campo, visto che l’anno solare si sta chiudendo in modo malinconico con la doppia mazzata subita in quattro giorni: fuori dalla Coppa Italia in casa col Torino ed ennesima sconfitta nello Stadium juventino. Macchie che sporcano il finale di un 2017 comunque positivo. E storico.