Il portiere della Roma Alisson, attualmente il miglior portiere del campionato ed uno dei migliori al mondo ha rilasciato una lunga intervista dove ha parlato della sua carriera.
E’ impossibile per un tifoso comprare una sua maglia: non è in vendita! “Lo so, tante persone si lamentano e mi scrivono sui social. Mi spiace sentire che i tifosi che mi vogliono bene la vorrebbero ma non possono, è una cosa brutta che non ci sia quella del portiere!”
Da solo, tra i pali, anche quando deve esultare dopo un gol… “Vorrei sempre correre verso gli altri, ma i miei compagni mi guardano e mi fanno dei segni per condividere quel momento con me. E’ bello comunque, anche perché io esulto con Dio”.
Nella prima stagione alla Roma era una riserva, si è sentito un po’ abbandonato? “Sì, un po’, però ho passato più tempo con mia moglie: un mese dopo l’arrivo a Roma, lei era incinta e così ho pensato meno alle cose che andavano male. Però ho lavorato e imparato tanto, anche insieme a un portiere grandissimo come Szczesny: quando sono arrivato a Roma ero pronto come calciatore, adesso sono pronto anche per il calcio italiano”.
La chiamano “o goleiro gato”, il portiere figo. Bisogna “parare” anche le tifose? “Una volta in Brasile ha dovuto parare anche mia moglie perché io non mi sono accorto di nulla. Avevamo appena vinto il campionato Gaucho e siamo andati in un ristorante a festeggiare con i compagni e le famiglie. All’ingresso c’erano tanti tifosi e alcune ragazze mi hanno toccato il sedere: lei parava togliendo le mani di tutte!”
La parata che ricorda più volentieri? “Brasile-Argentina 3-0 nel 2016, qualificazioni al Mondiale: sullo 0-0 ho preso un tiro da fuori area di Biglia e subito dopo abbiamo segnato il gol del vantaggio. Con la Roma ho fatto una bella partita contro l’Atletico Madrid all’Olimpico, in Champions, ma non bisogna pensare troppo alle belle parate perché magari la mandi in angolo e prendi gol un secondo dopo”.
Quanto fa male quanto la palla entra in porta? “E’ brutto anche quando vinci, mi viene una rabbia… Ho fatto tante parate, però ho preso tanti gol. Il peggiore è stato annullato contro l’Ecuador nella Coppa America 2016. L’attaccante ha fatto un mezzo tiro dalla linea di fondo verso la porta, la palla ha deviato sul primo palo, ha colpito il mio braccio ed è entrata, ma per l’arbitro era uscita e ha ordinato la rimessa”.
Chi, invece, lascia entrare nella sua porta? “Le persone che hanno bisogno. Nel mio Paese sostengo la chiesa che frequento, il pastore è un grande amico. Lui cerca di aiutare persone con tanti tipi di problemi e io aiuto lui a farcela. Viviamo in un mondo in cui tutti cercano di passare sopra le persone per avere potere e ricchezza, ma quello che conta davvero è l’amore, aiutare il prossimo ed essere una buona persona. Ed e quello che insegnerò a mia figlia”.
A cosa pensa quando stanno per battere un rigore? “A pararlo! E’ il momento in cui sono più solo che mai. Studio come tirano i calciatori e cerco di ricordare quello che ho visto, ma ho la mia idea già prima che inizi la partita. Il più bello che ho paralo è stato contro il Palmeiras nella Coppa del Brasile. Eravamo 0-0 e lo tirava il paraguaiana Lucas Barrios, quando ho parato è venuto giù lo stadio. Anche io so batterli, ma lascio fare agli altri”.
In cosa invece è rigoroso? “Nel lavoro. Sono serissimo e non scherzo mai in campo. Mi diverto, perché faccio un lavoro che amo ma il calcio si risolve nel dettaglio. Si lavora per arrivare alla perfezione”.
Roma è in trepidazione per la sfida con lo Shakhtar. “Sarà una partita dura tra due squadre che vogliono vincere e che hanno qualità. Nello Shakhtar ci sono miei connazionali che conosco e la squadra ha le caratteristiche del calcio brasiliano. Con Taison siamo cresciuti nel settore giovanile e con Fred abbiamo proprio giocato insieme in prima squadra”.
La papera peggiore?
“In campo qualcuna, nella vita troppe. Una tremenda alla tv brasiliana, in un talk show: avevo appena firmato con la Roma e il conduttore mi chiese se avevo già imparato le parolacce in italiano. Ho detto delle cose terribili senza rendermi conto della gravità. Quando l’ho capito, era troppo tardi”.