La domenica dell’equilibrio (mancava, non c’era, è arrivato quasi tutto insieme) si riempie gli occhi con la Roma. Tre gol al Chelsea, quattro alla Fiorentina e tre volte in vantaggio, cinque punti dal Napoli e una partita da recuperare. Se la Roma non avesse già perso due scontri diretti su due (Inter, Napoli) e per di più in casa, sarebbe quasi capoccia. Quello che non era successo in 11 giornate ha preso forma in una manciata di ore, così: il Napoli stanco si ferma a Verona, l’Inter si fa strattonare dal Toro, la Juve resta in svantaggio per oltre 40 minuti contro il Benevento, una maniera quasi storica di festeggiare i suoi 120 anni (persino una maglia celebrativa ma senza scudetto: e perché mai?). La classe media toglie punti a chi non ne aveva quasi mai perduti, saranno i primi campi bagnati o le tossine di Champions, quelle che però la Roma non conosce.
Ci ha messo davvero poco, Di Francesco, ad addomesticare un gruppo frastornato dagli ultimi mesi di Spalletti & Totti. Ora si può dire: elaborato il lutto del Capitano è come se tutti i suoi adolescenti figliuoli fossero diventati adulti di colpo. Dodici vittorie di fila in trasferta sono record della Serie A, e più dei numeri sorprende il modo. La Roma morsica il pallone, si estenua nei recuperi lì nel mezzo come quattro o cinque canzoni di Ligabue sui mediani tutte insieme. Nessuno gioca da solo, meno che mai i solisti. Meglio l’onda romanista delle strane, ripetute assenze bianconere, più volte nella stessa partita e troppe volte dentro partite diverse, e meglio anche dello sfasamento atletico del Napoli. Questo non impedisce a Sarri di restare primo e ad Allegri di incalzarlo a un solo punto. Si sa che la Juve decolla d’inverno, i primi freddi la stimolano però così non basta. In lunghi momenti resta incomprensibile.