Seimilaquattrocentotrentadue minuti a correre per costruire la stessa azione, salvare lo stesso gol, esultare e insultare, urlare e zittire, infuriarsi ed esaltarsi. Novantuno partite insieme di Mire e Radja, come quattro giorni e mezzo consecutivi in campo: ce n’è a sufficienza per sentirsi compagni, evidentemente pure per diventare amici. Perché questo sono Pjanic e Nainggolan, (anche) a questo è servito quel pezzo di vita firmato Roma. Oltre tutto, oltre i colori che stasera li divideranno, oltre i tackle o i tunnel che l’uno riserverà all’altro. Nemici mai, perché chissà quante altre vacanze progetteranno insieme, chissà quanti segreti conservano il bosniaco del belga e viceversa.
QUI MIRE – Vado lì perché, resto qui perché. Disse un giorno Nainggolan scherzando: «Se Pjanic firma per la Juve non gli parlo più». Era una bugia consapevole, un dribbling poco convinto e mal riuscito in un periodo – maggio 2016 – in cui proprio Radja fu tra i primi a raccogliere le confidenze di Mire sul futuro. E infatti pochi giorni più tardi aggiunse: «Per me lui è come un fratello, continuerò a volergli bene». Ed è giusto così, al netto di chi stasera fa il tifo per altre storie. Fratelli coltelli, per favore no. Fratelli e basta, con obiettivi evidentemente differenti. Pjanic scelse il bianconero per inseguire uno scudetto che a Roma vedeva sempre come un miraggio: «Giocavamo un buonissimo calcio, in squadra ci ripetevamo sempre che sarebbe stato l’anno buono – ha raccontato il bosniaco di recente alla rivista Undici – Poi però arrivavano partite in cui non eravamo proprio presenti in campo. Alla Juve questo non accade». Non che lui in giallorosso fosse esente da colpe. Non che in bianconero, magari, abbia evitato di scegliere in alcuni frangenti la linea della concretezza a scapito della leggerezza. E questo è piaciuto da matti anche a Massimiliano Allegri, al punto da affidargli la regia della Juve tutta.
QUI RADJA – Nainggolan invece leggero non ci va mai, se s’imbatte nella Juventus. Che sia sui social, in aeroporto, per strada o allo stadio: poco importa, Radja e la Juve è antipatia allo stato puro, giusto perché a due passi dal Natale si vuole evitare di usare la parola odio, che a ben guardare sarebbe quella più opportuna. «Comunque non mi vedrete mai con quella maglia», è la firma che chiude sempre il ragionamento del belga quando gli viene chiesto del futuro. Al mondo in bianco e nero ha sempre preferito quello a colori di Roma, compreso pure quel coefficiente di difficoltà eternamente superiore nella rincorsa a un qualsiasi trofeo. A maggio, dopo aver segnato e mandato a marcire la torta scudetto che la Juventus s’era portata a Roma, il belga esultò in serie con linguaccia, schiaffo virtuale e pollice verso rivolto ai tifosi avversari. Pjanic non s’offenda, stasera proverà Radja a fare lo stesso. Perché si può essere amici anche avendo scelto una strada completamente differente, in fondo di fronte allo stesso bivio. Le famiglie «E poi tanto lo sento ogni giorno», ride Nainggolan. Mica solo loro. Si sentono la famiglie, Josepha e Claudia programmano già il prossimo blitz a Montecarlo: le donne a far compere, Mire e Radja a spassarsela. E magari a prendersi in giro sull’ultimo Juve-Roma. Su quell’allenatore che ha idee strane, su quel compagno che non sai quanto è antipatico, su quell’arbitro che… mamma mia. Mamma mia che bellezza, Mire e Radja a inseguire lo stesso pallone.