Sei giorni di purgatorio e di graticola, di autodifesa disperata e di tentativi affannosi di riconciliazione. Alla fine, Paolo Berdini getta la spugna, ma sbatte la porta, accompagnando le sue dimissioni con un surplus di accuse per la giunta Raggi. Che nel frattempo, e non si tratta di una coincidenza temporale, si appresta a dare il via libera alla realizzazione del nuovo contestato stadio di calcio a Tor di Valle. Una fine non concordata, anzi, decisamente burrascosa. Perché Berdini scrive una nota velenosa, nella quale spiega: «Mentre le periferie sprofondano in degrado senza fine e aumenta l’emergenza abitativa, l’unica preoccupazione sembra essere lo stadio della Roma». E ancora: «Dovevamo riportare la città nella piena legalità e trasparenza delle decisioni urbanistiche, invece si continua sulla strada dell’urbanistica contrattata che, come è noto, ha provocato immensi danni a Roma». Due schiaffi che, uniti ai precedenti, fanno perdere la pazienza alla sindaca. La quale, interpellata dai cronisti, sbotta: «Adesso basta. Abbiamo anche sorvolato sui pettegolezzi da bar, ora prendiamo atto che l’assessore preferisce continuare a fare polemiche piuttosto che lavorare. Noi andiamo avanti».
La Raggi si carica della delega all’Urbanistica che, nell’attesa di un nuovo assessore, potrebbe passare al vicesindaco Luca Bergamo, che ha seguito il progetto stadio. Tra i candidati più accreditati c’è Alberto Coppola, architetto e giurista, segnalato da Tomaso Montanari. Da giorni la sindaca era divisa tra la tentazione di chiudere la partita (anche a causa delle forti sollecitazioni dei vertici, da Grillo a Casaleggio) e quella di provare a tenersi un assessore ingombrante ma necessario per portare avanti progetti delicati. Come quello dello stadio. E dunque, si viene a sapere, all’incontro decisivo di ieri Berdini era stato regolarmente invitato: «Ma non si è presentato». Perché, come dice la sindaca, «preferisce fare polemiche piuttosto che lavorare». O perché, come dicono diversi consiglieri, Berdini aveva già deciso che non avrebbe messo la sua firma e la sua faccia su un progetto di cui non condivideva più molto. Ma contro Berdini è un coro di accuse ormai: in Campidoglio si dice che era solo «chiacchiere e bugie», «non ha fatto nulla sullo stadio», «non aveva neanche un suo staff». Si chiude così, dunque, una vicenda cominciata con il colloquio pubblicato dalla Stampa, nel quale Berdini ne diceva di tutti i colori sul sindaco («incapace») e sulla giunta («una corte dei miracoli»). L’ormai ex assessore all’Urbanistica ha cercato di smentire la conversazione, poi di minimizzarne i contenuti. Infine, di fronte all’evidenza degli audio, si è arreso. E la vicenda personale ha lasciato spazio alla sostanza del contendere: lo stadio.
Berdini rappresentava l’anima di sinistra, l’argine ambientalista contro le possibili derive speculative, contro i cedimenti ai palazzinari. I suoi scrupoli, la sua reiterata volontà di abbattere le cubature e le torri e di restare nell’alveo di garanzia costituito dal piano regolatore, sono diventati un ostacolo insormontabile. Perché, nel frattempo, i 5 Stelle romani avevano deciso che, ottenendo una serie di garanzie, una cauta riduzione delle cubature e una certificazione ambientale, era opportuno ascoltare il «popolo», che vuole il pane ma anche il circensem, e dare il via libera. E così, entro il 3 marzo dovrebbe arrivare l’ok definitivo. Ieri si è dato un via libera di massima, con la riduzione del 20 per cento delle cubature, concentrato soprattutto sulle torri. La giunta va avanti, come dice Raggi. Ma la sua squadra perde pezzi. Berdini è l’ultimo di una lunga serie: Marcello Minenna, Carla Raineri, Raffaele De Dominicis, Paola Muraro, Daniele Frongia (ridimensionato), Raffaele Marra e Salvatore Romeo.