Stavolta la febbre a novanta dell’avventura giallorossa non riguarda i minuti di una partita o i gradi del calore del tifo: novanta sono gli anni. Novanta volte speranza. Ricordi come questo producono un solo effetto: uniscono. Roma 1927, Roma 2017. Un anniversario attraverso il quale è d’obbligo (ma è anche un piacere unico) raccogliere in un panino di storia gli eventi di quasi un secolo di campo, di intrighi di potere, di fantasie, sogni, delusioni, di volti che si sono incastonati uno accanto all’altro, Bernardini, Volk, Amadei, Masetti, Da Costa, Manfredini, Losi, Prati, Conti, Pruzzo, Di Bartolomei, Falcao, Ancelotti, Voeller, Batistuta, Totti, nella collana della passione. Tra il primo e l’ultimo ramo di quest’albero del calcio si può sbirciare la storia del nostro paese, i volti che si trasformano, i palloni, le scarpe, il fascismo che prende Testaccio, lo scudetto del ‘42 che sfocia nella guerra, la ricostruzione che porta alla B. Poi tante illusioni e tanti “muretti”, fusi in un amore che neppure le brutte sensazioni e le disfatte dell’ultimo minuto hanno mai scalfito.
Negli ultimi dieci anni la Roma può essere riassunta in cinque lettere: Totti. A lui, al suo essere uno dei tre più grandi calciatori italiani di sempre, si deve l’ingresso in un limbo all’interno del quale la squadra, nelle sue varie incarnazioni, è stata almeno sei o sette volte sul punto di cambiare pelle e di entrare nella ristretta cerchia delle “grandi stabili” con qualche trofeo (in più) in bacheca: ogni volta però, sempre per un motivo diverso, è stata respinta e il mondo che le gira intorno ha preso l’abitudine di rassegnarsi esibendo una specie di sorriso, o smorfia, e riproducendo — come soggiogato da una maledizione — l’eterna gag del “ci siamo anche noi”. In Italia la Roma è stata la più “seconda” degli ultimi anni. Anche questa è mitologia.
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