Il timer non ha deluso neppure questa volta. È scattato, come da programma ci verrebbe da urlare. Anche se nei troppi corridoi, salotti e canottieri di questa città, si vociferava da settimane di un atto secondo dell’operazione Rinascimento. E allora ci risiamo, aridanga, direbbe l’indimenticabile Nino Manfredi di «Riusciranno i nostri eroi…», come quando vede l’altrettanto indelebile faccione di Albertone Sordi tra gli indigeni della tribù africana a cui sta garantendo che arriverà la pioggia. È arrivata. Sullo stadio della Roma. Come puntualmente succede da oltre sette anni, cioè da quando è cominciato il percorso per la costruzione dell’impianto colorato di giallorosso.
Per la squallida gioia di chi oggi vi racconta che «vuole il bene della Roma», falsi come una carta da dodici euro, invertebrati della politica e della comunicazione, maggiordomi del miglior offerente. Ieri mattina, appena svegli e appresa la notizia dell’arresto di Marcello De Vito, presidente pentastellato dell’assemblea capitolina, invece del cappuccino hanno brindato con un prosecco. Daje contro la Roma. Via alle dissertazioni, opinioni, previsioni, soprattutto ai titoli, «Stadio della Roma, arrestato De Vito», titoli che non si sono fermati neppure dopo che il pm Ielo, in una conferenza stampa, ha ribadito a più riprese come la Roma e il suo stadio non c’entrino niente nella vicenda in questione e che l’iter per il nostro stadio non sarà fermato dalla Procura. Godevano come ricci, ci auguriamo senza cautela. Come avevano fatto a più riprese in questi anni uscendo dalle loro fogne, dal rischio idrogeologico alla tribuna di Tor di Valle, dalla bocciatura, dopo essere stata approvata, del primo progetto all’operazione Rinascimento, tutti flop e loro pronti a tornare nel loro habitat naturale, in attesa della prossima occasione. (…)
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