C’è chi ha detto che da quando ha abbracciato la nonna in tribuna dopo quel gol al Cagliari nel 2014 non è più lo stesso. C’è chi, ancora, ha detto che non è più lo stesso da quando l’anno dopo ha segnato da centrocampo a Ter Stegen, contro il Barcellona. Sì, proprio il Barça, croce e delizia della Champions League per la sua Roma. C’è chi, invece, sostiene che da quando ha fatto pace col fatto che non può piacere a tutti, tanto per citare le sue parole, Alessandro Florenzi è “cambiato”.
Forse anche perché gioca meglio, forse perché gioca meglio da esterno basso e gioca bene da esterno alto. O forse perché sta studiando da leader di una squadra in cui non è più giovane, non è più il terzo romano, ma il secondo, il secondo di quattro. E il futuro, quanto meno guardando alla carta d’identità, è dalla sua parte, equidistante dal momento che l’ha consacrato, la scoperta di essere un’ala con Rudi Garcia, dopo il ritorno a Roma con Zeman, e oggi. Che è un punto fermo della Nazionale, dove tutti apprezzano la duttilità dell’ex ragazzino che esultava toccandosi i baffi (gesto dedicato al papà), oltre che della Roma. Dove adesso è uno dei “big” che parlano nei momenti difficili e che ci mettono la faccia, anche e soprattutto per difendere i compagni, come accaduto nell’infelice serata di Plzen, mercoledì scorso.
Ma questo, Florenzi, l’ha un po’ sempre avuto nelle corde, se pensiamo a quando, il 20 dicembre 2015, all’Olimpico si giocava Roma-Genoa e la situazione della squadra giallorossa assomigliava (neanche poco) a quella attuale. Con un tecnico, Rudi Garcia, che tanto entusiasmo aveva suscitato nella piazza in precedenza e tanto scoramento aveva allora intorno. Per una Roma in crisi di gioco, prim’ancora che di risultati, e con il nome dell’allenatore francese ogni settimana avvicinato dai media alla porta d’uscita di Trigoria. Fu quella l’occasione per sbloccare la partita poco prima della fine del primo tempo con un destro al volo dal limite dell’area piccola su un rilancio sbilenco della difesa genoana prima di correre diretto in panchina ad abbracciare il tecnico in panchina, seguito da tutta la squadra. L’abbraccio e il 4-0 finale non cambiarono il destino di Garcia, che fu esonerato dopo due partite, con l’anno nuovo.
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