Torna il vichingo. Il problema al polpaccio è alle spalle, domani sera, contro il Bologna, Robin Olsen si riprenderà la maglia da titolare tra i pali della porta giallorossa. O no? E l’interrogativo non vuole essere malizioso o polemico, ma semplicemente una motivazione. Nel senso che le due partite in cui lo svedese è rimasto a guardare, la trasferta di campionato a Verona contro il Chievo e poi il match d’andata di Champions League contro il Porto, il dodicesimo designato Antonio Mirante ha fatto il suo, facendo lievitare nella squadra quel senso di sicurezza che per un portiere è un elemento fondamentale. Meglio così, prima di tutto per la Roma. Ma anche per Olsen. E la cosa è meno strana di quello che possiate pensare.
Il bisogno di un nemico Proviamo a spiegarci. Perché è vero che, da sempre, si dice che l’unico ruolo in cui la concorrenza rischia di creare insicurezza è quello del portiere che, al contrario, deve avere la garanzia di andare in campo, sentirsi titolare a tutto vantaggio di quella serenità che in un portiere vale più che in qualsiasi altro ruolo. Ma è altrettanto vero che nel caso del vichingo nostro, si sentiva al contrario la necessità che gli si potesse materializzare un «nemico» da sconfiggere, un rivale pericoloso per la sua titolarità, un portiere in grado di metterne in discussione la maglia da titolare. (…)
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