In una calda domenica da prima vera scampagnata primaverile, senza partita della Roma né aspettative di Champions, 4 giorni fa i tifosi della Roma si interrogavano, col tono di chi ipotizzava i programmi per il capodanno di Toninho Cerezo, se il ridicolo gol preso da Giovanni Simeone il giorno prima fosse più colpa di Manolas, che non aveva trovato di meglio che spostarlo con una spallata, o di Bruno Peres, che con la reattività di un guard-rail lo aveva rimesso in piedi, in condizioni di controllare, dopo una carambola mai vista su un campo di calcio, e battere a rete il pallone di un 2-0 valso la sesta sconfitta in casa, peggior risultato degli ultimi 70 anni. Risposta facile, Manolas: il brasiliano era dove doveva stare. E se pure non fosse stato lì, Simeone sarebbe caduto a terra, spostato da una spallata troppo vigorosa per essere considerata regolare, l’arbitro avrebbe concesso il rigore, e l’occasione del 2-0 – da trasformare, certo – il greco l’avrebbe causata lo stesso. Quattro giorni dopo, Kostantions Manolas detto Kostas è l’eroe greco che ha sconfitto gli Dei, guadagnandosi l’immortalità. Graecia capta ferum victorem cepit, hanno studiato alle superiori tanti di quelli che hanno gioito mercoledì sera: la Grecia catturata ha conquistato il feroce vincitore [Roma].
Un’eredità pesante – Ci ha messo più del previsto, il difensore nato nell’antica Naxos, e arrivato nel 2014 dall’Olympiacos, con l’ingrato compito di sostituire un Benatia arrivato con l’etichetta di quello pagato troppo, e andato via da trionfatore, pagato più del doppio dal Bayern Monaco, conquistato dal suo strapotere in marcatura, dal suo carisma, e dalla sua efficacia in fase di impostazione e in area avversaria. Manolas, come contributo alla manovra e in fase offensiva ha tantissimo da imparare dal franco-marocchino, ma i suoi primi mesi furono entusiasmanti: Sabatini aveva fatto l’affare dell’anno, 26 milioni più 4 di bonus incassati con Benatia, la metà esatta per il suo sostituto, 13 + 2. In realtà c’era una clausola che non era inserita nel comunicato ufficiale, e che venne rivelata solamente due anni dopo da Football Leaks: in caso di cessione prima del primo settembre 2016 l’Olympiacos avrebbe avuto diritto al 50% del ricavo. E così la Roma non potè metterlo sul mercato, per non sprecare una gran bella plusvalenza. Che era praticamente fatta la scorsa estate, quando il greco era stato impacchettato insieme a Paredes, con destinazione San Pietroburgo, dove Roberto Mancini aspettava con ansia il suo arrivo. «Fosse stata una mia scelta non avrei mai lasciato Roma e la Roma, ma non è dipeso da me – ha dichiarato ieri l’argentino a RMC Sport – lo avevo detto subito che non volevo andarmene, ma alla fine ho dovuto accettare».
Manolas era atteso per le visite mediche, assecondando il piano di sacrificare lui per tenere Ruediger, più giovane, robusto e versatile, ma il greco temeva una svalutazione del rublo: voleva essere pagato in euro, non lo assecondarono. Le figurine “Ovunque proteggi” non erano più cool, la sua velocità non veniva più considerata un pregio ma la conseguenza di un piazzamento sbagliato, l’autogol del Camp Nou poteva essere il punto più basso. Aveva cominciato a segnare – 2 gol in 24 partite, gli stessi che aveva fatto nelle 100 dei primi 3 campionati – ma la cosa era passata inosservata. Fino a mercoledì, a quell’esultanza alla Tardelli e alle lacrime all’inno. Mitologia greca.