Soffermarsi nel 2019 sulle sue qualità rischia di far (s)cadere nella retorica. Perché Daniele De Rossi è portatore sano di passione, suggestioni, romanismo allo stato puro. È diventato banale perfino ribadire che «non è mai banale», negli atteggiamenti come nelle parole. Gli uni e le altre elargiti a piccole dosi o comunque lontano dai riflettori. Ulteriore sintomo di intelligenza non comune e di sostanza anteposta alla forma. Ma il Capitano non ha bisogno di agiografi, gli bastano i fatti per svuotare anche le ultime sacche residuali di resistenza alla sua centralità nella Roma. E se resta ancora qualcuno barricato sulla rocca dei pregiudizi a non accettare l’evidenza, beh, peggio per lui.
Sulla scena La sfida di domenica sera con il Milan dovrebbe aver fornito l’ennesima indicazione perfino ai più miopi. Con il numero 16 in campo, i giallorossi sono un’altra squadra. Anche rispetto a quella della settimana precedente. D’accordo la reazione alla disfatta di Firenze, d’accordo che dopo una caduta tanto rovinosa è quasi fisiologica una risalita, ma la prestazione di De Rossi è stata superlativa, commovente, ai limiti dell’eroismo. Titolare a più di tre mesi dall’ultima volta, dopo un infortunio che «ha rischiato di farlo smettere di giocare», come rivelato dallo stesso Di Francesco al termine della gara con i rossoneri, è risultato il migliore in campo, nonostante fosse in condizioni più che precarie. Per coraggio, abnegazione, personalità: quasi scontato ricordando il suo carisma e la sua esperienza.
Meno prevedibile che anche stavolta fungesse da fulcro del gioco e catalizzatore di ogni pallone. Quelli in possesso distribuiti con la consueta maestria, dettando i tempi e cercando sempre la soluzione più efficace. Quelli avversari intercettati in quantità industriale. Dopo dieci gol subiti in una partita e mezza, con lui a fare da schermo davanti alla difesa sono state concesse due sole occasioni in novanta minuti a una delle squadre più in forma del momento. Non è una novità l’attitudine del Capitano a frapporsi sulle linee di passaggio avversarie. Come non è insolito vederlo nelle doppie vesti di primo regista e ultimo frangiflutti a protezione della linea arretrata. Ma l’assenza infinita dalla formazione titolare aveva confiscato le buone abitudini e reiterato i brividi a ogni ripartenza avversaria, qualunque fosse la squadra opposta alla Roma.
Dietro le quinte (…)
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