Da capitan futuro a capitan infinito, il volo è stato troppo breve. Per tecnica, intelligenza e senso di appartenenza, Daniele De Rossi avrebbe meritato vent’anni da capitan presente, non i due finali che ha vissuto tra poche gioie e tanti travagli. È stato il leit motiv della sua carriera giallorossa, la presenza costante – e magari in alcuni momenti perfino ingombrante – di capitan Totti. Un fratello maggiore che gli ha fatto da chioccia, finché il ragazzo non è diventato adulto. Più adulto del fratellone. (…)
Forse, la sintesi migliore degli ultimi vent’anni l’hanno fatta su Twitter: se Totti è stato la Roma, De Rossi è stato il romanismo. Gioco, partita, incontro. Non avremmo saputo dirlo meglio. Sì, Totti è stato la Roma. Anzi, da un certo punto in poi è diventato più grande della stessa Roma, e questa sua grandezza alla fine l’ha pagata, trattato come l’elefante della canzone di Zarrillo, lui il più grande di tutti i tempi. Un gigante tra nani. Da due anni dirigente senza un incarico preciso.
A De Rossi, invece, un ruolo operativo lo hanno proposto subito, ma lui ha mangiato la foglia: «In questa società da dirigente non potrei incidere». Ed è stata questa, forse, la vera pietra tombale posata su questa Roma dei Pallotta e dei Baldini, lontani dagli occhi e, soprattutto, dal cuore dei romanisti. Ora che il mare di Roma è diventato una grande onda di dolore che da Ostia sta travolgendo tutta la città, ci si aggrappa ad un hashtag, a cui Totti ha agganciato il finale del suo saluto a De Rossi: #torneremograndiinsieme. Sì, come cantavano i Tiromancino, due destini che si uniscono…
FONTE: La Gazzetta dello Sport