Fosse per Eusebio Di Francesco, lui non ci rinuncerebbe mai. Per la qualità, il carisma e la specificità del giocatore applicata al ruolo. Fosse per l’allenatore giallorosso, Daniele De Rossi starebbe sempre in campo, senza uscire mai. Così tanto che subito dopo Roma-Milan, il giorno del suo rientro dopo il lungo stop ai box di tre mesi, il tecnico romanista lo definì addirittura «un giocatore eccellente nei tempi di gioco. (…)
Daniele De Rossi, però, in campo non ci può più andare sempre, perché il ginocchio destro va gestito e sovraccaricarlo sarebbe – adesso – l’errore più grande. «Ho rischiato di smettere, questo è stato l’infortunio più grave della mia carriera. (…)
De Rossi ad intermittenza, dunque. Anche se poi, forse, non è giusto neanche dire così. Nel senso che da oggi in poi le partite saranno scelte, selezionate, individuate in base all’importanza, all’esigenza delle squadre ed alle condizioni fisiche ed atletiche di Daniele. Che, tra l’altro, è costretto ovviamente a gestirsi anche durante la settimana, proprio per non sovraccaricare di fatica l’arto in questione. E quindi capita spesso che il capitano della Roma faccia una parte della seduta di allenamento con i compagni ed una parte, invece, per conto suo. (…)
E che De Rossi sia importante non solo come presenza e carisma, ma anche e soprattutto per l’apporto che dà in campo lo dicono pure i numeri. Prendendo infatti in esame le ultime due stagioni, quelle che il centrocampista ha vissuto come regista nella gestione-Di Francesco (tra l’altro le due vissute anche ufficialmente da capitano, dopo l’addio di Francesco Totti), si vede subito come il rendimento della squadra sia migliore con De Rossi in campo che non senza. Con lui, ad esempio, le percentuali di vittoria della Roma salgono dal 47,2 al 59,2%, con una media di due punti a partita conquistati dalla squadra di Di Francesco (contro 1,6 nelle gare in cui invece non era presente). (…)