Oltraggio alla bandiera. Ho letto l’inchiesta di Repubblica; meglio: la ricostruzione fatta da Carlo Bonini e Marco Mensurati sul “caos della Roma” nella quale si sostiene, tra le altre cose, che De Rossi e tre senatori (Kolarov, Dzeko e Manolas) tramarono per far fuori Totti e contro Di Francesco, il cui gioco sarebbe stato “dissennato, dispendioso sul piano della corsa ma misero su quello della tattica”. Un racconto articolato, ricco di tradimenti e interessi personali, di pizzini e mail al veleno inviate da Roma a Boston.
“I modi e i tempi dell’infelice addio tra De Rossi e la Roma si comprendono ora meglio” scrivono gli autori. “E si comprende ora meglio anche per quale motivo ci siano versioni opposte su chi abbia mancato di rispetto a chi”. Potrei chiuderla in fretta, ma voglio andare avanti per la stima che nutro nei confronti di De Rossi – i tifosi della Roma non autorizzano ripensamenti sull’uomo prima che sul campione poiché convivono da 18 anni con certezze inattaccabili.
“Non c’è niente da fare, se non inorridire. Io dovrei rispondere” ha confessato De Rossi a un amico “dovrei fare nomi e cognomi. Ma non serve, non sono il tipo. Ma de che stiamo a parlà, di cosa stiamo parlando?, di che povertà stiamo parlando… Io penso che il dubbio venga soltanto agli sprovveduti. Basti pensare al fatto che se io sono un pezzo di merda, uno che ce l’ha con Francesco, uno che ce l’ha con Baldini o Di Francesco, uno da allontanare, non mi offri il ruolo di vice-amministratore delegato. Non voglio aprire la querelle tra me e la Roma, non l’ho fatto quando si parlava solo di calcio, non lo faccio ora. Stiamo parlando di fantascienza, è una cosa gravissima e io non c‘entro un cazzo, la mail l’ho letta, non c’è un riferimento a me, a me contro Francesco o Di Francesco o Monchi, si parla solo di senatori che non gradiscono certi metodi di allenamento”.
De Rossi adirà le vie legali. Quando gliel’hanno riferito Marco Mensurati, intervenuto a “Tutti convocati” su Radio 24, ha spiegato che “abbiamo riportato un documento interno alla Roma chiaro. La società non ha smentito la nostra inchiesta, ha preso le distanze con una supercazzola. Anche Monchi ha preso le distanze, De Rossi ha annunciato denunce, le aspettiamo con le nostre carte a disposizione”. Giustissimo: per il bene di tutti, di De Rossi e della Roma, deve prevalere la verità definitiva. Le persone vicine a Daniele sono convinte che dietro l’inchiesta di Repubblica ci sia il tentativo di qualcuno della società di screditarlo pubblicamente per tracciare una linea di demarcazione tra progetti spiazzanti e affetti devastati abbassando così i toni della protesta dei tifosi nei confronti del presidente e dei suoi consiglieri. Ma professionisti come Bonini e Mensurati, che hanno firmato inchieste molto serie, non si prestano ai giochi di società.
Ho tuttavia trovato assai sospetti due passaggi apparentemente secondari: in primis quello sulla rapina subita dalla madre di Zaniolo. Leggo: “Striscioni di vergogna si affacciano nelle capitali del mondo e come in un capitolo di Suburra due figuri con accento romano terrorizzano per una rapina da quattro soldi (la seconda in poco tempo) la madre di Zaniolo, l’ambito gioiello della rosa. Il ragazzo su cui ricostruire o, nel caso di una cessione, abdicare”. E poi quello sull’AdnKronos di Pippo Marra “storicamente legato alla famiglia Sensi, della cui Roma sedeva nel Cda”, reo, si legge, di aver accreditato una fantomatica offerta degli emirati del Qatar. Per urgenza di precisione, ricordo che i primi a parlare dell’offerta qatariana più volte smentita furono Milano Finanza e i quotidiani francesi, noi del Corriere riprendemmo tre volte i lanci degli stessi segnalando ripetutamente le smentite di Pallotta. L’addio di De Rossi, gli striscioni contro la società (inclusi i “No stadio”), il fastidio Qatar: i tre nervi scoperti della Roma toccati tutti insieme indistintamente. Più che Suburra, Trigorra.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni