«Per me rientrare in Curva Sud è stata una gioia enorme, a prescindere dal risultato: mi sentivo come se fosse il mio primo derby». Eppure Marco, un ingegnere di 30 anni e decine di trasferte all’attivo, di derby ne ha visti tanti. «Sono abbonato da 13 anni – prosegue – oggi (ieri, ndr) finalmente mi hanno riaperto le porte di casa mia». Stringe forte la bandiera, una goccia in un mare di stoffa giallorossa che ondeggia al vento. Accompagnata da un tifo incessante. L’urlo della Sud è tornato a spingere l’undici di Spalletti dopo un anno e mezzo di silenzio, in casa. La maggioranza dei gruppi ultrà romanisti non varcava la soglia dello stadio di casa dal Roma-Juventus del 30 agosto 2015. Con la rimozione delle barriere ottenuta dopo una lunghissima protesta pacifica, «finalmente si è ripristinata una situazione di quasi normalità – afferma Lorenzo Contucci, avvocato penalista esperto in normative anti-violenza e profondo conoscitore del panorama del tifo giallorosso – la gente romanista è tornata al suo posto».
Ieri 45mila tifosi hanno gremito gli spalti dell’Olimpico per un colpo d’occhio finalmente degno della stracittadina di Roma. Un derby vissuto tra emozione, entusiasmo e incertezza. La speranza di ribaltare il passivo di 2-0 della gara d’andata. Ma anche l’incognita sulle nuove misure di sicurezza dopo la rimozione dei vetri di frazionamento voluta dal ministro Luca Lotti. «Riusciremo a fare il tifo, a vivere la curva come è sempre stato?». Il risultato è stato soddisfacente. Le scale di emergenza sono state lasciate sgombre, nessun battibecco particolare con gli steward. I ragazzi della Sud hanno faticato non poco per riuscire a coordinare il tifo, rispettando il dettame di non arrampicarsi sulle balaustre. È allora eccola la Sud. Sfilare in corteo poco prima delle 19 dal ponte della Musica all’Obelisco: un paio di fumogeni colorano l’imbrunire.
Il coro “Roma/Roma” riecheggia al Foro Italico, come dire «eccoci, siamo tornati». L’ingresso, cancelli aperti dalle 18.30, è filato via senza problemi particolari. Il passo si allunga fino al cancello e poi oltre, fino all’ultimo gradino che conduce agli spalti, e che emoziona sempre: il prato verde. «Finalmente siamo tornati, sono tornato», esclama Ettore in negoziante di 66 anni. «Lo sai da quanto mancavo? – domanda – da quel maledetto 30 maggio 1984». Sarà un caso, ma partono i cori per Di Bartolomei, prima dell’inno. La Nord si colora di bianco e celeste, rispolvera il simbolo degli Irriducibili. Prova a pungere: “Siamo il vostro incubo peggiore”, graffia uno striscione. La Sud irride: “Chi ve se fila”. Poi è tifo incessante. Oltre il risultato. Nonostante la festa biancoceleste.