Bruno Conti è uno di famiglia. È un fratello, un figlio, un amico, un vicino di casa, un cugino. Lo è diventato il 10 febbraio del 1974, quando esordì con la maglia giallorossa in un anonimo Roma – Torino.
Diventerà anche il miglior giocatore dei mondiali del 1982, “il più brasiliano di tutti”, come lo definì Pelé. Diventerà Marazico per tutti i romanisti… ma quella domenica pomeriggio è solo un diciannovenne con il caschetto alla Beatles e il numero 11 sulla maglia.
Il 1974 fa parte degli anni di Liedholm e “Brunetto”, archiviata l’esperienza nel baseball, gioca nella primavera. Tra i romanisti, quelli veri, si sentiva già aria di esordio, ma finché il mister non diede la formazione, niente fu certo. Arrivò così la chiamata in prima squadra, proprio la settimana prima di Roma – Torino.
Conti aveva già vinto un campionato con la primavera e con la stessa squadra, allenata da Trebiciani e composta da compagni di squadra del calibro di Agostino Di Bartolomei e Francesco Rocca, si accingeva a vincerne un altro.
Il giorno prima della gara la Roma era in ritiro a Grottaferrata e in quell’epoca, i giornalisti raggiungevano la squadra in ritiro per le consuete domande pre-gara. Conti era talmente agitato dalla possibilità di poter essere intervistato rispetto al suo esordio che, invece di stare con la squadra, si rinchiuse in camera in silenzio.
Mentre Di Bartolomei e Rocca avevano già esordito in prima squadra calcando il palco di San Siro, per “Brunetto” è la realizzazione del sogno di una vita.
L’emozione sale, è il momento di giocarsi la propria incredibile chance. Veste la maglia numero 11 e gioca la sua partita. Si procura anche un calcio di rigore che però Domenghini fallisce. La partita si conclude con uno 0-0.
«Io sono sempre stato timido, davanti agli allenatori quasi rimpicciolivo, cercavo di trattenere il fiato, di non dare fastidio, di non essere d’impaccio. Non sono mai stato capace di darmi delle arie e spesso in campo quelli più grandi e grossi mi menavano, mi sovrastavano, mi impaurivano. È stato Liedholm il primo a farmi il lavaggio del cervello, a farmi capire che il fisico conta sì ma fino a un certo punto. Io ero innamorato del pallone, avrei dribblato pure i pali della porta. Liedholm mi ha corretto, mi ha rifatto nuovo, mi ha permesso di debuttare in A contro il Torino il 10 febbraio 1974»
L’anno successivo Bruno Conti viene mandato al Genoa, che all’epoca militava in serie B. Insieme al compagno di squadra Pruzzo portarono la squadra in A oltre che, successivamente, scrivere pagine indelebili della storia giallorossa.
Rientrato a Roma vestirà la famosa maglia numero 7 che l’accompagnerà in tutti i sedici anni di carriera in cui ha vestito la casacca giallorossa.
Tornato dal prestito Conti è un altro giocatore. Più maturo, determinato, capace di fare la differenza. Liedholm può ritenersi soddisfatto e ben presto arriva anche il primo goal.
Torino sembra essere una città che accompagnerà tutta la carriera di Marazico.
È il 30 gennaio 1977 quando Conti segna il suo primo goal, portando la Roma alla vittoria casalinga per 3-1 contro la Juventus. Poi le due coppe Italia vinte di seguito, la convocazione in nazionale, la vittoria del mondiale, fino allo storico scudetto.
Ha sbagliato rigori, ha gioito e sofferto con tutto il popolo romanista, che lo ama e gli perdona tutto. Saranno in 80.000 il 23 maggio 1991, giorno del suo storico addio. Bruno piangerà perché un uomo autentico, come autentico è il gesto di lanciare il suo scarpino sinistro alla curva sud, la sua curva, la sua gente con la quale ha avuto da sempre un rapporto speciale.
Bruno Conti ha scritto pagine importantissime della storia della Roma e del nostro calcio, storie indimenticabili e destinate a durare per sempre nel cuore di tutti gli amanti del calcio vecchie maniere.
PER LEGGERE L’ARTICOLO ORIGINALE CLICCARE QUI