Lo ricordiamo da giocatore, tipo apparentemente mite, ragionatore, ma dentro molto caliente. Sempre pappa e ciccia con Tommasi: DiFrancesco il diavolo, Damiano l’acqua santa. Insieme l’uomo perfetto. Negli anni Eusebio è cambiato, ha trasformato quella sua esuberanza interiore in passionalità, emotività. In campo non ha più bisogno di conquistare il territorio con la corsa, ma oggi, da tecnico, lo riempie con il corpo, con la voce, con la forza delle idee. Lui è l’insegnante, il generatore di ciò che ha appreso da discepolo. Spiega i sistemi di Zeman (il 4-3-3, il gioco verticale), urla come Capello («ma noooooo»). Si arrabbia ma non umilia. La discussione con il tifoso l’altro giorno fa subito capire come DiFra voglia conquistare la Roma, pian piano. Perché lui per primo sa che deve vincere un certo scetticismo abbastanza generalizzato. E lo fa col fisico.
IL PERCORSO – La scalata alla panchina è completata, Di Francesco ha conosciuto lo spogliatoio nelle varie vesti, calciatore, dirigente, team manager e ora (da un po’) allenatore. Conosce la strada giusta. Non può più essere schivo, perché oggi se guardi il campo di Pinzolo lo sguardo finisce subito su di lui: Di Francesco, cappellino, occhiali e pallone sotto il braccio. Il kit è completo. Eusebio è allenatore verace e fisico, con idee innovative. Ti spiega toccandoti, acchiappandoti la maglia. «Qui no, devi stare lì» e vedi il ragazzo x trascinato con forza da una parte e l’altra del campo. Non manesco, per carità, fisico però sì. E il ragazzino di turno (e non solo) lo sta a sentire, perché oggi questo gli passa il convento. Gente che non si sa se l’anno prossimo sarà nella Roma. Ma a lui non importa, si prepara per quando quella maglia dovrà tirarla all’amico De Rossi, a Strootman o a Nainggolan o Dzeko. «Se alleni una squadra di giovani o se alleni una big, cambia poco: il metodo è lo stesso», ci disse qualche tempo fa. Quello è l’obiettivo in questa a fase: non mostrarsi demotivato e non abbandonarsi allo sconforto. Non può permetterselo.
Il discorso fatto l’altro giorno al gruppo, all’arrivo a Pinzolo, va proprio in questa direzione: lavoro, serietà, applicazione, il non essere distratti dai cellulari e non vivere Pinzolo come una tappa turistica. Eusebio vuole un calcio colto, verticale, veloce e organizzato. Interpretato da ragazzi che sappiano cosa sia il rispetto. Di Francesco parla chiaro, fin troppo. Il povero Mirko Antonucci, giovane del vivaio, ricorderà sempre quando a un certo punto del primo allenamento a Pinzolo, Eusebio, dopo averlo visto un po’ troppo timido, ha interrotto il gioco e gli ha urlato. «Quanti anni hai? Quanti anni hai? Bene, non me ne frega un c… Prendi sta palla e punta l’avversario. Punta». Ora il difficile è ripetere toni e parole con un big, ma lui non sembra non dormirci la notte. Lo farà. Perché questa non è mancanza di rispetto, è carattere. L’abruzzese è tosto. Durante gli allenamenti si sente solo la sua voce, rimbalza il suo eloquio acqua e sapone. «Cos’è questa giocata? Non mi piace un c…». Oppure a Sadiq. «Dentro, veloce, chi attacca la porta, mia sorella?». Poca filosofia e tanta sostanza. Ai tifosi presenti piace, qualche applauso nasce spontaneo e lui incassa volentieri, e ringrazia, alzando la mano. Eusebio tira fuori la grinta, corre appresso al pallone, spiega, dirige l’esercizio con cura. «Quanto mi piace… bravi bravi», a volte va dicendo dopo una sovrapposizione finita bene; «Dietro male male, ma cos’è sta roba qua?», se non va. E si ricomincia. «L’aspetto ludico non deve mai morire, è un lavoro che va fatto con serenità ma il piacere di scendere in campo non deve mai mancare. Futuro? Sono convinto che Monchi farà una grande squadra» ha confidato il tecnico.
GIOCO VERTICALE – Ieri mattina, altre prove tattiche. Difesa che scende e sale dopo il recupero palla, scarico sul centrale (Gonalons), palla laterale, prima alla mezz’ala, poi all’esterno alto, quindi la corsa lunga del terzino. Squadra cortissima e grande lavoro sulle fasce. «Dobbiamo fare gol, bisogna fare gol». Velocità e verticalizzazioni continue. Squadra cortissima. Per ora in tutti i sensi. Ma la presentazione è stata fatta comunque, ieri sera in piazza. Un dovere, questo è.