Le suggestioni sono belle perché non impegnano, come uno sguardo all’orizzonte sul golfo di Napoli: escono quasi naturali. E così, davanti alla prospettiva di un futuro da condividere con Mario Balotelli di cui il procuratore Raiola ha parlato nel mese di gennaio ai dirigenti della Roma, Eusebio Di Francesco trasmette entusiasmo: «Lo allenerei con piacere, ovviamente. Mario è un calciatore stimolante perché ha grandi mezzi, al di là del carattere particolare. Anzi voglio raccontarvi un aneddoto: due anni fa facemmo una lunga chiacchierata, provai a portarlo al Sassuolo ma poi non trovammo le condizioni». Bum. Balotelli alla Roma? Forse no, forse è presto per dirlo, ma a questo punto l’ipotesi può prendere corpo, tanto più a parametro zero. Dipenderà essenzialmente dalle uscite in attacco e dalle conseguenti necessità.
L’ATTEGGIAMENTO – Intanto però Di Francesco deve pensare alla precarietà del momento: in campionato la Roma ha perso fuori casa solo contro la Juventus nelle ultime 19 partite (vincendo 14 volte) ma stavolta al San Paolo parte dal -19 in classifica contro il Napoli di Sarri. «Noi dobbiamo fare risultato. L’avversario sta bene, sia fisicamente sia mentalmente, ma manca sempre meno tempo alla fine del campionato e quindi si stanno riducendo le possibilità per riprenderci il posto in Champions. Dobbiamo provare a fare punti anche qui, con determinazione e convinzione, anche se i risultati ottenuti fin qui negli scontri diretti ci hanno tolto qualcosa». Da amante del calcio, apprezza il lavoro del collega che incontrò per la prima volta in C1 dieci anni fa: «Sarri è uno dei migliori allenatori in circolazione ma ha avuto più tempo di me, ha cominciato prima di me la carriera. Mutando convinzioni peraltro: prima faceva il 4-4-2, poi è passato al 4-3-1-2 e infine al 4-3-3».
IL CONFRONTO – Dovrebbe essere questo il modulo che Di Francesco utilizzerà al San Paolo, con il conforto della riunione tattica organizzata con la squadra dopo la sconfitta con il Milan: «Ma è bene spiegare. Io ascolto tutti perché è educato e rispettoso. Ascolto anche voi e vi rispondo. Ma alla fine le decisioni le prendo sempre io. Mi dà fastidio che possa essere confuso il mio stile con una mancanza di personalità. Il sistema di gioco sarà sempre impostato da me, i calciatori faranno sempre quello che dico io». Mima con la mano il “ciao” per rafforzare il concetto: «Se mi accorgerò che dall’altra parte non c’è una risposta, sarò il primo a salutare la Roma. Ma oggi non ho questa percezione. Il problema è sempre lo stesso: se giochi corto, compatto, resti dentro alla partita. Se ti allunghi puoi cavartela soltanto se un grande calciatore inventa una giocata. E a quel punto non è più un discorso di modulo». In settimana ha lavorato più sulla testa che sulle gambe dei giocatori: «Se i ragazzi non volessero fare ciò che chiedo si capirebbe dall’inizio. Invece all’inizio ci provano e poi alla prima difficoltà perdono il filo conduttore, uscendo dalla partita. Dobbiamo migliorare in questo: il fatto che spesso non recuperiamo una situazione di svantaggio è significativo (sette volte su nove, ndi), qualcosa ci manca sotto il profilo mentale».