Viola ha amato la Roma più di qualsiasi altra cosa, da quando ragazzino la scoprì su un tram verso Testaccio fino a quando se l’è stretta per sempre il 19 gennaio 1991. Persino in guerra. Nel 1942 era a Pontedera, nelle campagne di Curigliana, come ufficiale della regia aeronautica militare, addetto ai collaudi dei P. 1088B Piaggio, l’unico bombardiere strategico quadrimotore italiano della seconda guerra mondiale. C’era la guerra. Ma c’era la Roma che giocava a Livorno e Pontedera dista 37 chilometri.
Ci andò in bicicletta con la Signora Flora. Era il 7 giugno. Si erano sposati il 30 aprile di quell’anno, quattro giorni prima era andato a Venezia che quel giorno era romantica soprattutto perché ci giocava la Roma. Trentasette chilometri in bicicletta per vederla, trentasette anni per sposarla: nel maggio del 1979 diventa presidente. Diventa tutto.
Se è vero che c’è stata una Roma prima e dopo Falcao, cos’è stata la Roma prima e dopo Viola che Falcao lo ha portato qui? L’Ingegnere è stato l’architetto del nostro sogno, e insieme il suo custode più feroce e dolce: faceva tutto, da comprare Falcao fino a spegnere le luci di quella che considerava casa sua per darle la buonanotte. Sognavamo tutti e quando dopo 41 anni ci risvegliammo da quella che lui stesso definì “una prigionia”, era tutto vero.
Era la Roma campione. Era la Roma più bella e grande. Era una continua emozione. Più che i campioni e i trofei, ve lo ricordate lo stadio? Le luci? Le bandiere? La Roma? Ci sono uomini che votano l’intera vita a una causa, Viola l’ha dedicata alla Roma. Pure troppo. Pure tutto. Puro amore. La Roma la sentiva sua. La Roma in quegli anni era sua. Questione di sangue, tigna, piglio. Ci ha litigato anche, ci ha sofferto. L’acquisto di Manfredonia fu una ferita. Così come le cessioni di Di Bartolomei, Cerezo, Ancelotti e la querelle legale con Falcao. (…)
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