Trascinatore. Edin Dzeko è sempre più il centro di gravità permanente della Roma. Permanente, anche troppo, qualcuno potrebbe obiettare: perché non ha modo di rifiatare, o se lo fa la squadra non è la stessa e non è mai il massimo dipendere solo, o moltissimo, da un giocatore.
Top player Ma i numeri dicono questo. Cioè che Edin Dzeko è uno dei top player di questa Roma. Top per Di Francesco, che continua a spremerlo, confidando sulle sue qualità tecniche, fisiche – perché il bosniaco in queste ultime partite un po’ il fiato lo ha anche tirato dentro il rettangolo verde di gioco, seppur con grande intelligenza – e morali. Sì, la qualità più cristallina di questo gigante dalla faccia pulita è proprio la testa. Una testa da campione, e non a caso è tra i pochi romanisti ad aver vinto già nella propria carriera. Uno che a gennaio, in piena crisi di risultati e di gioco della Roma difranceschiana, è stato pesantemente al centro di una trattativa di mercato di cui si faticava a inquadrare il senso, quanto meno se vista prettamente dal punto di vista tecnico. «Per Edin è arrivata una proposta troppo basta attraverso delle telefonate e abbiamo deciso tutti di lasciar perdere. Ma è una cosa normale, perché se qualcuno presenta delle offerte bisogna ascoltare», ha ribadito James Pallotta durante il suo soggiorno romano.
I dolori di Eusebio Anche a costo, a quanto pare, di perdere qualche punto per strada, come ha fatto intendere lo stesso Di Francesco, visibilmente infastidito durante la finestra di mercato, soprattutto in relazione alla vicenda Dzeko-Chelsea. Sì, perché lui non lo toglie mai, è acclarato. Perché chi meglio di lui? Ecco, il senso. Se Edin fosse salito su quel “treno” per Londra, non solo non si sarebbe giocato la Champions, ma per Di Francesco e la stra-grande maggioranza di tifosi della «sua» Roma, sarebbe stato come colpire una traversa al novantesimo di un derby. Ah, se avesse segnato anche quello! Cosa sarebbe successo? Troppa grazia, magari. E va bene, va bene così.
Maledetti pali Allora stop al giochino mainagioista che questa “settimana santa” deve ritorcersi contro la Roma, come se la sorte guardasse in faccia ai colori. Perché la squadra giallorossa in questa stagione si è meritata tutto, l’ha anche pagato questo exploit, perché in campionato ha tralasciato un po’ troppo la pratica. In questo contesto Edin, numeri alla mano, sposta tantissimo. E se non fosse per i sei legni (solo Insigne come lui), tra pali e traverse, colpiti solo da lui in campionato la Roma sarebbe ben più avanti in campionato. Edin, infatti, non ha avuto fortuna all’Olimpico in quattro occasioni: nel match dell’ottobre scorso con il Napoli, in Roma-Crotone, nella sconfitta con la Fiorentina e nel derby di domenica scorsa. E lontano da casa per ben due volte a Benevento, dove avrebbe potuto fare tranquillamente sei gol in una gara, visto che oltre alla doppietta aveva anche propiziato due autogol.
Superedin D’accordo, il palo è un tiro sbagliato, ma quelli di Dzeko sono tiri quasi giusti. In molti casi si è fatto riferimento alla sua proverbiale ormai carenza nella cattiveria sotto porta. Eppure è lui quello che fa reparto da solo, prendendo a sportellate il mondo intero, facendo salire la squadra e distribuendo qua e là perle. Sì, perché anche gli assist fanno parte del suo repertorio: 3 in campionato e 4 in Champions League in questa stagione. Chiamatelo Superedin, quindi. Molto più che un integratore.