L’operazione è chiara e ha un nome solo: rivoluzione. La società giallorossa al termine di una stagione drammatica, decide di non giocare al ribasso ma di puntare forte, anzi fortissimo sul futuro. E lo fa senza mezze misure, perché quella del prossimo anno dovrà essere davvero una Roma nuova, quella della svolta con o senza lo stadio.
Perché l’operazione De Rossi, che significa rinunciare a un giocatore, ma soprattutto a un uomo della sua stazza, è rischiosissima: ai tifosi puoi anche far mandar giù le cessioni di Strootman e Nainggolan (lunga la lista degli addii dolorosi, tre dei quali disputeranno la prossima finale di Champions League), ma quando metti mano sulle pedine pesanti, quando tocchi il cuore, è tutta un’altra Cosa.
Con De Rossi la Roma perde un altro pezzo di casa, una stanza intera verrebbe da dire, un altro passo verso la «deromanizzazione» voluta fortemente dalla nuova società e iniziata con Totti: giusto o sbagliato che sia, non spetta a noi dirlo. Un principio, una voglia di strutturarsi come un grande club internazionale, che sarebbe anche condivisibile se
arrivassero i risultati.
Il problema alla fine è tutto lì: se vinci puoi fare (quasi) tutto quello che vuoi, puoi permetterti il lusso di cacciare a calci nel sedere Del Piero, cambiare un allenatore che ha vinto tre scudetti consecutivi e anche metterne in discussione un altro che ha infilato in bacheca i cinque successivi. Ma se non vinci è dura da mandare giù.
Resta così solo un addio doloroso, di un ragazzo per bene, con un’altra testa rispetto alla media e che presto vedremo allenare su qualche panchina pesante. Ma soprattutto di un romanista vero che mancherà infinitamente alla sua gente che lo ringrazia per questo diciotto anni di passione: nel bene e nel male.
Da parte nostra un «in bocca al lupo» vero per il suo futuro. E chissà un domani…
FONTE: Il Tempo – T. Carmellini