Valencia, tarda sera del 6 marzo 2000, vigilia di Valencia-Fiorentina di Champions League. Dopo la conferenza stampa di Trapattoni, allora tecnico dei viola, prendiamo un taxi con altri colleghi. “Ci porta al ristorante “El Canaro”? Ce lo ha consigliato Ranieri”, dice uno di noi al tassista. Che sorride. Scendiamo dall’auto, un altro collega mette la mano in tasca per pagare e il tassista lo blocca: “Chi è amico di Ranieri nel mio coche non paga. E’ stato il nostro miglior allenatore degli ultimi cinquant’anni”.
Strano. Un fenomeno in Spagna, uno qualunque in Italia. Qualunque per quelli che a Roma, nell’anno dello scudetto perso contro Mourinho, lo chiamavano “minestraro”. Adesso Claudio il testaccino torna a casa, perché la Roma, ancora prima di Roma, è casa sua. Ci torna dopo un fresco esonero londinese, ma anche dopo il miracolo dei miracoli alla guida del Leicester, l’ultimo Verona inglese dei grandi campionati d’Europa. Basterà per sottrarlo alla pessima stampa che lo accompagna da sempre in Italia? Chissà. Sappiamo solo che nel calcio, almeno da noi, si va avanti a luoghi comuni e per questo Ranieri non è mai stato considerato un grande allenatore.
Dicono che in Italia i meriti si acquisiscono con le vittorie, più che col gioco. Siamo un Paese risultatista e allora è ancora più inspiegabile questa sottostima di Ranieri. Che a inizio carriera venne chiamato da Carmine Longo a Cagliari, insieme al suo ex braccio destro Angelo Antenucci, quando in sede non c’era nemmeno la corrente elettrica. Prese il Cagliari, lo portò dalla C alla A, lo salvò e in mezzo gli portò anche una Coppa Italia di Serie C. Poi andò a Firenze, prese la squadra in Serie B, la mise in testa alla classifica alla prima giornata e vinse il campionato con largo anticipo. Un atto dovuto, dissero. Ma forse non era dovuta la vittoria in Coppa Italia nel ‘96, ventuno anni dopo l’ultimo successo della storia viola. Così come non lo era la Supercoppa conquistata a San Siro contro il Milan: la Fiorentina era la prima squadra a vincere il trofeo da vincitrice della Coppa Italia e non dello scudetto.
Da Firenze a Valencia, quando di allenatori italiani in giro per l’Europa ce n’erano pochi. Creò le basi della squadra che avrebbe vinto la Liga e portò a casa una Coppa del Re dopo un clamoroso 6-0 sul Real Madrid. Poi una semifinale di Champions col Chelsea prima dell’avvento di Abramovic (fu Claudio a prendere Lampard dal West Ham), la salvezza del Parma, la promozione del Monaco dalla Ligue 2 alla Ligue 1, infine il Leicester. Errori? Sconfitte? Certo, non sono poche in 33 anni di carriera, ma in mezzo a vittorie che la gente fatica a riconoscergli. A Roma gli rinfacciano ancora il secondo posto dietro a Mourinho, in un testa a testa con l’Inter che nel finale prese slancio dal 2-0 dell’Olimpico sulla Lazio, quando i tifosi laziali chiesero alla loro squadra di scansarsi. Questa è la storia di Ranieri, il sottovalutato che vince in un calcio di sopravvalutati che vincono meno.