Il terzino Brasiliano, ormai pronto al rientro dopo il lungo infortunio, si è “confessato” in un’intervista. Ecco le sue parole:
La sua ultima partita risale al 28 maggio, nel giorno della festa per l’addio al calcio di Totti: “Era un giorno bellissimo. Il giorno dell’addio di Totti, io avevo ricevuto la convocazione in Nazionale e avevo già la mia roba negli spogliatoio per andare a Coverciano”.
Alla fine della partita sei rientrato in campo e Totti ti ha detto qualcosa, che cosa?: “Nonostante le stampelle sono rientrato in campo per una questione di rispetto. Mi ha detto «Sei giovane, sei forte. Hai il futuro davanti». Il momento in cui Totti si ferma a parlare con me lo porto nel mio cuore. È una di quelle cose che potrò raccontare ai miei figli e ai miei nipoti: la fortuna di aver giocato con Totti e di aver trascorso quel giorno con lui”.
Il tuo infortunio è stato il peggior momento della tua carriera?: “E’ stato il momento più difficile della mia carriera, dopo la partita con il Porto. Quando ho fatto il contrasto ho sentito un dolore che non so neanche spiegare. Mi sono reso subito conto che era grave appena ho fatto quel movimento”.
Quando hai capito che il calcio poteva essere molto di più di una passione?: “Quando ho giocato il Mondiale e il Sudamericano U-17 col Brasile. Quando arrivi in Nazionale cominci a vederti come un calciatore. In quei tornei ho giocato titolare, ho segnato, sono stato premiato. Ho cominciato a vedere le cose da un angolo diverso”.
Come è incominciata la tua carriera?: “Arrivato in squadra il terzino titolare era Leo, un idolo della tifoseria e del club. Dopo Leo avevo iniziato a giocare titolare però è arrivato un altro terzino, Mena, un cileno che doveva andare al Mondiale e aveva bisogno di giocare titolare. Il Santos è una grande squadra e ha bisogno di giocatori pronti e d’esperienza. Io giocavo una partita titolare, poi le altre dieci restavo in panchina. Non avevo regolarità”.
In una partita che giocasti in quel periodo ti ritrovasti ad incrociare sulla fascia un certo Neymar: “Un’altra cosa che potrò raccontare ai miei nipoti. E’ il giocatore più forte con cui abbia mai giocato, è incredibile, in allenamento col pallone fa delle cose che tu neanche ti immagini. Marcarlo è impossibile, non sai se andrà a destra, a sinistra, o se proverà a farti un tunnel”.
Al Palermo sei andato nel 1014… “Non me lo aspettavo. Avevo da poco rinnovato il contratto, sembrava che la società volesse puntare su di me, contavo sul fatto che col tempo sarei diventato titolare. Più che a livello tecnico è stato difficile a livello umano: uno spogliatoio diverso, cultura diversa, senza brasiliani. Sono diventato amico dell’unico portoghese in squadra, Joao Silva, che mi ha aiutato. Però è stato davvero pesante”.
Ricordi la partita all’Olimpico tra Roma e Palermo? “Senza quella partita a quest’ora non sarei qui. Nessuno lo sa ma prima di quella partita ho passato tante cose. Mi sono fatto male alla caviglia e sono rimasto fuori due mesi e e mezzo. Tutti mi dicevano che non sarei riuscito a giocare quella partita. Ma volevo giocare a tutti i costi e ho fatto delle infiltrazioni per esserci e ho fatto bene perché quella partita ha cambiato tutto”.
Sabatini, quando ti ha acquistato alla Roma, lo ha giustificato dicendo “mi piaceva come si muoveva”… “E’ stata una questione di dettagli”.
Fino alla partita con il Porto eri un oggetto misterioso, e quella partita non ti ha certo aiutato… “Ho commesso un errore grave: è importante che lo riconosca. In quel momento tutti mi dicevano che non potevo giocare nella Roma, così mi sono seduto con Spalletti per decidere il mio futuro. Il mercato era aperto e magari potevo andare in prestito da qualche parte. Ma col mister abbiamo deciso che sarei rimasto per dimostrare il mio valore”.
Poi le cose iniziano a cambiare complici gli infortuni di Mario Rui e Vermaelen… “Quando cominci a giocare, prendi fiducia, ne giochi 5-6 di fila, è normale che le cose iniziano a uscire”.
Ma la vera svolta c’è al derby vinto con la Lazio per 2 a 0… “È stata una delle mie migliori partite. Marcavo Felipe Anderson che conosco da tanto tempo, abbiamo fatto le giovanili del Santos insieme e sono riuscito a marcarlo bene”.
Al fischio finale, ti inginocchiasti con le braccia al cielo. Era per ricordare la Chapecoense… “E’ difficile per tutti. Per me specialmente, avevo due amici lì (si commuove, ndr)”.
Riguardo al gol contro il Villarreal? “Sono avanzato, avevo la palla sul destro ma non avevo nessuno a cui passarla quindi ho tirato”.
E sul gran tiro contro il Sassuolo? “Contro il Sassuolo era più difficile. Era un cross di Radja e la palla rimbalzava, dovevo tirare ma pensavo di mandare la palla fra i tifosi, e invece appena ho calciato ho sentito che mi era uscita bene, ho pensato “mamma mia che gol”, e invece ho preso la traversa”.
Riguardo l’impennata del tuo rendimento, hai cambiato qualcosa nella tua vita? “Ho eliminato la coca-cola e il cibo da fast food che mi concedevo dopo le partite. Ho cominciato a pensare che la preparazione della partita della domenica comincia il lunedì”.
Spalletti non è famoso per puntare sui giovani, eppure con te non ha esitato… “Si è fidato di me nel momento in cui tutti avevano perso fiducia. Se oggi sono considerato un giocatore importante lo devo a lui”.
E quando è andato via? Cosa hai pensato? “Quando è andato via sono stato triste, è normale. Quando una persona che ti vuole bene va via ovviamente ti rende triste ma il mondo del calcio è così, ora siamo avversari”.
Di Francesco punta molto sugli esterni, dandogli ancora più importanza di quanta non ne desse Spalletti… “Sì, è vero, il mister insiste molto per giocare sugli esterni. Quando abbiamo giocato contro il suo Sassuolo era difficile difendere sulle fasce. Lui mi è molto vicino, mi aiuta e mi spiega cosa vuole da me”.
Cosa vi chiede il mister? “Dare ampiezza, offrire sempre un’opzione in più in attacco, ma senza perdere di vista la fase difensiva”.
Viste le prestazioni di Kolarov e l’infortunio di Karsdorp, giocheresti a destra? “A destra mi trovo bene. Ho giocato lì contro Palermo, Empoli e Milan, e mi sono sentito bene, penso di aver giocato bene”.
E nel ruolo di esterno d’attacco? “Lì forse sarei in difficoltà perché dovrei giocare troppo spalle alla porta, mentre a me piace giocare con tutto il campo davanti, guardando la partita”.
Fino ai 14 anni hai giocato al calcio a 5, questa cosa ti ha aiutato? “Mi ha aiutato moltissimo a giocare veloce, a uno o due tocchi, e liberarmi bene negli spazi stretti. A me piace giocare semplice, veloce, leggero. Dare la palla, muovermi, sempre a uno o due tocchi. A Spalletti non piacevano i giocatori che portavano palla, e la cosa mi ha aiutato. Mi ha aiutato anche nel dribbling: è la mia caratteristica migliore. Specie dopo aver dribblato il primo giocatore sento di aver preso velocità e mi sento bene, sento di essere difficile da fermare”.
Tornando ad oggi, il tuo stile di gioco cambia a seconda del compagno di fascia… “Ad El Shaarawy piace scambiare la palla, fare uno-due. Mentre quando gioca Perotti non devi fare sempre la sovrapposizione e a volte è meglio lasciare lui da solo a fare uno contro uno”.
C’è qualcosa di cui ti rimproveri riguardo la scorsa stagione? “La fase offensiva: mi dicevo sempre che dovevo provarci di più. Ma per me la cosa più importante è che la squadra non prenda gol per colpa mia. Per questo do il 100% in difesa, e poi in attacco devo pensare a fare sempre qualcosa di diverso dagli altri. Non posso limitarmi a fare cose scolastiche, tanto per farle”.
In effetti nella fase difensiva sei migliorato molto… “È solo una questione di lavoro. In Brasile si lavora meno sulla fase difensiva, ma in Europa si può imparare velocemente”.
Quali sono i giocatori che più ti mettono in crisi? “Quelli fisici non tanto. Mi possono mettere in difficoltà quelli che si muovono in profondità, ma che vengono anche in mezzo tra le linee. Non sai mai se uscire oppure tenere la linea. Quelli che ti mettono il dubbio sono quelli che mi mettono più in difficoltà, ma non credo solo a me, credo a tutti i difensori”.
L’avversario che ti ha messo più in difficoltà in Serie A? “Nessuno”.
In cosa senti di poter migliorare? “Devo pensare a tornare al 100%, e solo dopo posso pensare a cosa migliorare”.
Qual è la cosa che ti preoccupa di più dopo uno stop così lungo? “La precisione tecnica col pallone non mi preoccupa, non ho sentito nessuna differenza al rientro. Fisicamente è ovvio che non sono ancora al 100%, mi sembra di andare a cinquanta mentre gli altri vanno a mille. Però è normale. L’unica cosa è che sento ancora un po’ di timore quando vado nei contrasti, ma anche quello è normale”.
Tecnicamente, non avendo ancora esordito con la Nazionale italiana, potresti ancora scegliere quella del Brasile… “Ora penso solo alla Nazionale italiana. Penso che un uomo deve avere solo una parola. Ci ho pensato tanto a questa decisione, quattro mesi, e quando ho detto che avrei voluto giocare per la Nazionale italiana ho dato la mia parola, e voglio arrivare fino alla fine con questa parola”.
Cosa ti dicono i compagni come Florenzi e Strootman che hanno subito il tuo stesso infortunio? “Mi dicono di non fare le cose di fretta e di tornare quando mi sento bene”.
Anche tuo fratello Giovanni è un calciatore, e anche lui ha subito la rottura del crociato. Com’è il vostro rapporto? “Parliamo spesso, anche lui era un terzino sinistro, ci diamo consigli su come migliorare, guardiamo le partite assieme. Era triste per il mio infortunio, sa cosa sto passando perché lui stesso si è rotto il crociato due volte e mi chiede sempre come sto. È importantissimo per me”.
Lui è stato più sfortunato di te… “Giovanni qualche anno fa doveva venire in Europa, ma appena prima si è rotto il legamento crociato. Qualche tempo dopo ha avuto un’altra possibilità per un trasferimento importante, ma si è rotto di nuovo il crociato. Allora ti accorgi quanto contano la fortuna o gli episodi, perché secondo me non c’è tanta differenza di talento. Ma nella vita di un calciatore cose così cambiano tutto”.
Tu ti senti una persona fortunata? “Sì, sento che Dio si sta prendendo cura di me, ha un piano, niente succede per caso”.