Detonatori delle fake news e dei livori più assurdi, i social hanno alimentato in pochi giorni una paradossale campagna, assecondata dalla parte più ondivaga della critica. Secondo gli snob, dopo una sola partita di campionato, persa dal Milan in casa del Napoli reduce dai 91 punti della scorsa stagione e inchiodato sul 2-0 per quasi un’ora, Gattuso sarebbe già meritevole di interrogativi sinistri, se stasera contro la Roma non aggiustasse subito la classifica. Di Francesco è altrettanto avvezzo allo snobismo, di cui è vittima da quando è asceso al soglio romanista: non possiede il look o la favella dei colleghi più in voga e per questo, in caso di sconfitta a San Siro dopo il 3-3 con l’Atalanta, la litania sulla sua presunta inadeguatezza riprenderebbe subito.
Però i due allenatori non si curano dei preconcetti e inseguono analogo e ambizioso obiettivo: accordare il primato del risultato a un gioco moderno e riconoscibile, inconfondibile nel mare del conformismo tattico. Li accomuna dunque sia l’insensato assalto degli immemori – raccogliendo in corsa la squadra, Gattuso l’ha raddrizzata in pochi mesi, mentre Di Francesco pilotava la sua a un eccellente percorso, addirittura prodigioso in Champions – sia appunto la suddetta ambizione di imporre il proprio marchio, cancellando le più facili etichette.
Appare più complessa la sfida di Gattuso, etichettato per via dei trascorsi da calciatore prima come “mister cuore e grinta” e poi come “prigioniero della paura di perdere”. In realtà, sullo scranno che fu dell’utopista Sacchi, del pragmatico Capello, dell’umanista Ancelotti e del savio Allegri, cerca una sintesi pratica e la rivendica. Il suo progetto di un Milan dall’identità unica è emerso al debutto napoletano, frustrato dalla rimonta di Ancelotti, ed è stato proprio il maestro a dargliene atto: «Con l’azione che parte sempre da dietro, senza mai buttare un pallone, Rino ci ha messo in difficoltà, obbligandoci a spendere un sacco di energie. Poi c’è stato qualche pasticcio nei passaggi» . Ma con la Roma Gattuso non torna indietro: stesso 4- 3- 3, stessi uomini, stessa vocazione al palleggio: «Non dobbiamo smettere di credere in quello che facciamo. Se si vuole fare un calcio propositivo, non si possono lasciare le cose a metà. Dobbiamo semplicemente restare in partita per 95’ e non soltanto per 60’ come a Napoli: è una questione caratteriale ed emotiva, non tecnica, tecnicamente siamo già da Champions». Sessantamila persone assisteranno alla prova d’orchestra, con la sola variante del rientro di Çalhanoglu dalla squalifica: non c’è in teoria migliore catapulta per Higuain. L’ingresso dall’inizio di Caldara e Laxalt sembra eventualmente rinviato a dopo la sosta, così come la riconversione di Bakayoko come vice Biglia: «Per i nuovi serve ancora un po’ di tempo, ma della campagna acquisti sono molto soddisfatto».
Di Francesco, che oscilla tra il 4- 2- 3- 1 e il 3- 4- 1- 2, cioè tra la formula con El Shaarawy esterno e quella con Marcano accanto a Manolas e Fazio più Pastore trequartista dietro la coppia Schick-Dzeko, l’essenziale è ribadire che il gruppo conta più di tutto, in una squadra che ha appena perso Strootman: «È stato lui a chiedere di andare al Marsiglia, io non trattengo nessuno».
La serata sarà anche passerella per Kakà, il cui percorso da nuovo dirigente del Milan è appena cominciato. Diserterà San Siro l’Ad della Roma Gandini, già dirigente milanista di lungo corso, che il candidato del fondo Elliott alla carica di Ad del Milan – il Ceo dell’Arsenal Gazidis – vuole riportare in via Aldo Rossi.