Antico Circolo del volo. Fantastico. Cuore dei Parioli. Primo pomeriggio. Ambiente elegante e un po’ snob, una vista su Roma che è uno spettacolo, veranda da svenire, piscina affollata, signore ingioiellate, professionisti in bermuda e infradito, camerieri che vanno e vengono, menu da applausi a scena aperta. A un tavolo chi scrive e l’avvocato Ettore Viola. Figlio di chi non avete bisogno che lo si scriva. Un appuntamento per ricordare quei magnifici anni ottanta, quella straordinaria avventura di una famiglia che ha cambiato la storia della nostra Roma. Non resta che cominciare.
Ettore, l’ingegnere, papà, come prese la Roma? «La prese perché era lo scopo della sua vita. Per tutti noi, la Roma era una cosa di famiglia. Una volta ci disse che lui aveva lavorato avendo in testa solo una cosa: diventare il proprietario e il presidente della Roma. Quando la prese, è stato il coronamento di un sogno».
Come ve lo comunicò? «Fece una riunione di famiglia, lui, mamma, i tre figli, io, Federica, Riccardo. Eravamo tutti tifosi veri. Pensa che papà nel 1952, quando avevo cinque anni, mi fece la tessera di socio vitalizio, lo sono ancora».
Obiettivo raggiunto, anno 1979… «Errore».
Come errore? «In realtà l’aveva già comprata l’anno precedente».
Non dubitiamo, ma la cronologia dei presidenti giallorossi dice Dino Viola 1979… «Vero. Ma già dodici mesi prima era tutto fatto. Solo che era successo un imprevisto».
Quale? «Papà era andato alla Banca di Roma per mettere le firme sull’acquisto. Era tutto definito. L’ad della Banca allora era il dottor Guidi, molto amico di Gaetano Anzalone. Successe che in quel momento papà scoprì che un terreno di Trigoria era ipotecato. Se ne andò molto contrariato e l’acquisto slittò di un anno». (…)
(…) E cominciò la costruzione della Roma scudetto… «I primi acquisti furono Turone e Benetti. Due giocatori che dovevano dare l’esempio. Solo che papà non era convinto di Turone».
Come si convinse? «Liedholm gli disse che voleva giocare a zona, all’epoca una rivoluzione».
All’inizio non fu un successo… «Per niente. Perdemmo diverse partite, qualcuna anche in maniera pesante. Ma Nils era convinto e dopo una sconfitta ci disse che saremmo diventati fortissimi».
Quale sconfitta? «A Napoli. Avevamo giocato benissimo, ma il risultato diceva quattro a zero per loro».
Non si sbagliò… «No, da quel giorno cambiò tutto».
Il primo grande colpo fu Carlo Ancelotti…. «Il primo colpo di mercato che portarono a rifare la Roma. Rimasero Agostino, Tancredi, Pruzzo». (…)
(…) L’ingegnere seguiva sempre la squadra in trasferta partendo in macchina… «Sempre in macchina. E c’è un motivo».
Quale? «Non aveva piacere di prendere l’aereo. Prima della guerra, a Pontedera, era a bordo durante il collaudo di un aereo. Precipitarono. Si ruppe un braccio. Da quel momento solo auto o quasi».
L’equipaggio come era? «Io, papà e mamma. L’ingegnere era il re degli autogrill».
Spiegaci… «Spesso dietro avevamo le auto dei tifosi. Si formava una colonna. Quando mettevo la freccia, ci seguivano. E i tifosi cenavano con noi. Meraviglioso».
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