Non c’è mai stata una Roma così. E non è una questione di gusti o di opinioni ma di numeri: nonostante un sorteggio molto difficile, ha arraffato 8 punti nelle prime 4 partite del girone stabilendo la migliore partenza della sua storia in Champions League. Nelle precedenti 9 partecipazioni, era riuscita al massimo ad arrivare a 7 e in ogni edizione aveva perso almeno una volta: Eusebio Di Francesco è invece ancora imbattuto e nelle due esibizioni all’Olimpico non ha concesso gol all’Atletico Madrid, due volte finalista negli ultimi quattro anni, e al Chelsea, campione d’Inghilterra in carica oltre che vincitore della Champions nel 2012.
STELLA – E’ evidente, in questo percorso di crescita internazionale, l’intervento correttivo del nuovo allenatore, di cui anche De Rossi da capitano ha tessuto le lodi al termine della partita. E anche in questo caso, sono le cifre a parlare: prima che arrivasse Di Francesco, la Roma della proprietà americana aveva vinto 2 partite su 16 in Champions League. In questa stagione ne ha già vinte 2 su 4, garantendo alla società 4 milioni di premi Uefa (il frutto di due vittorie e due pareggi) e la concreta possibilità di incassarne molti altri, a cominciare dal bonus per la qualificazione agli ottavi che è di 6 milioni per concludere con nuovi ricavi da botteghino (martedì Roma-Chelsea ha fruttato 3 milioni di incasso) e con la quota del market pool italiano che in caso di eliminazione del Napoli sarebbe maggiore.
SVILUPPO – Adesso anche l’Europa si sta accorgendo della Roma di Di Francesco, come potete leggere sui titoli dei giornali inglesi che hanno raccontato della sconfitta «rovinosa» di Antonio Conte. E non è casuale, forse, che lo stesso Di Francesco sottolinei la vocazione internazionalista del suo calcio: dove si gioca a pallone a viso aperto, le sue ripartenze sono micidiali. Contro il Chelsea si è visto il sistema verticale che dall’estate scorsa l’allenatore stava cercando di insegnare ai suoi giocatori, abbinato a un’applicazione tattica che ha tolto il respiro al nobile avversario nella fase di non possesso: il pressing ragionato, feroce a tratti, era alternato a un ripiegamento ordinato sotto palla nel 4-5-1 con El Shaarawy e Perotti abilissimi nella doppia fase. Un po’ Zeman, un po’ Lippi, un po’ Capello. Dai tre allenatori più prestigiosi che ha avuto, Di Francesco ha saputo trarre il meglio.
SVOLTA – Ma quello che più è cambiato rispetto alle precedenti gestioni tecniche è la mentalità. Come si è visto nella partita di andata a Stamford Bridge, in cui la Roma è stata persino più dominante nell’atteggiamento, Di Francesco sta trasmettendo l’idea di poter giocare tutte le partite su tutti i campi nella stessa maniera. Senza presunzione ma con ambizione. E attraverso il lavoro ha saputo convincere la squadra di avere ragione. Certi calciatori che sembravano smarriti adesso sono diventate colonne tecnico-tattiche che hanno saputo cancellare le partenze estive (Salah, Szczesny e il disastroso Rüdiger di Roma- Chelsea) e sopperire alle assenze (Karsdorp, Schick, Manolas) senza inficiare la competitività del gruppo. La ritrovata leadership di Fazio, la riabilitazione di Juan Jesus, la centralità di Perotti e l’esplosione di El Shaarawy, che con Di Francesco ha capito di poter essere decisivo anche giocando sul fianco destro dell’attacco, sono tutti prodotti del lavoro quotidiano. E se l’ex secondo portiere Alisson non concede gol in 9 partite su 14 stagionali, allargando l’imbattibilità a 375 minuti, significa che si può vincere divertendo senza rinunciare all’equilibrio.