Quella faccia al gol di Sau. Eccolo un motivo, ma ce ne sono anche altri, per poter considerare Cagliari il capolinea di Di Francesco sulla panchina della Roma. Al di là della conferma filtrata ieri da Trigoria. Qualcuno, quella faccia, ribadendo come l’intelligenza non sia di tutti, l’ha scambiata per un sorriso. No, quella faccia è quella di un uomo devastato, logorato, consumato, allibito, soprattutto sconfitto. La firma su una storia conclusa. Non sarebbe la prima, non sarà l’ultima. E allora domandiamo: si può continuare con un allenatore con quella faccia?
Garantiamo, non abbiamo davvero nulla contro Di Francesco, allenatore che ha conoscenza e competenza, ma persona forse troppo per bene per un mondo del calcio in cui i furbi, gli scorretti, i maneggioni, i truffaldini venditori di se stessi, riescono sempre a farla franca. Aggiungiamo pure di voler sinceramente bene a Di Francesco, se non altro per un ricordo che porteremo sempre con noi almeno finché avremo capacità di intendere e volere. Ma ora serve una faccia diversa per tirare fuori la Roma dalla buca in cui si è andata cacciare. E per noi la Roma viene prima di qualsiasi altra cosa.
Se poi vogliamo lasciar perdere la storia della faccia, ci sono diversi motivi per ritenere che il suo progetto sia arrivato al capolinea. Sono diciotto mesi che ci parla del suo calcio (Eusebio avresti fatto meglio a evitare, certe parole non le dice neppure Guardiola), ma noi facciamo ancora una certa fatica a capirlo. Questo sarebbe pure un dettaglio, magari saremo noi di coccio, ma se a non capirlo sono i giocatori, allora l’affare si complica e pure di parecchio. Ci hanno sempre detto che il calcio è semplicità, ma se questo calcio è così complesso da capire, i conti non ci tornano. Perché venti formazioni diverse in altrettante partite? Perché cambiare modulo tradendo se stesso? Perché quando si è sotto la mossa è sempre inserire attaccanti o, quando si deve difendere il risultato, si sommano difensori a difensori? (…9
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