Da tre partite stiamo vedendo una Roma diversa. Più accorta ed equilibrata, meno dipendente dai miracoli di Alisson, compatta quanto basta a prescindere dal sistema di gioco che è stato cambiato con profitto a seconda dell’avversario: a Napoli, dopo aver parlato alla squadra in settimana, Di Francesco ha schierato il 4-3-3 (o magari 4-1-4-1); con il Torino ha cominciato allo stesso modo per passare poi al 4-2-3-1; con lo Shakhtar infine ha scelto uno schema ibrido, per liberare Nainggolan senza perdere forza a centrocampo. Altro che integralista: Di Francesco non ha quasi mai utilizzato il 4-3-3 puro in Champions e soprattutto, nell’atteggiamento, ha rivisto certe convinzioni in base alle caratteristiche della squadra e dell’avversario. Dunque contro i palleggiatori di Napoli e Shakhtar ha deciso di aspettare le mosse altrui per colpire nel momento buono mentre con il Torino ha alzato i toni dell’aggressività. Morale: la Roma gioca più tranquilla ed è abbastanza sicura di sé, sfrutta buona parte delle occasioni da gol che produce e concede poco a chi minaccia Alisson. Meno spettacolo, maggiore concretezza
LA CONDIZIONE ATLETICA – Il lavoro atletico effettuato tra la metà di dicembre e la sosta di gennaio comincia a produrre frutti importanti, come ha verificato facilmente Di Francesco nei test che vengono effettuati con cadenza settimanale a Trigoria. La Roma ha messo benzina nelle gambe per essere brillante proprio nel periodo decisivo della stagione, a costo di perdere punti preziosi in campionato, al contrario di quanto accadde l’anno scorso quando il gruppo ebbe una flessione fatale tra febbraio e marzo, prosciugando le speranze di vincere una coppa. Stavolta la squadra invece arriverà almeno ad aprile con l’affascinante prospettiva del quarto di Champions che non era mai stato assaporato nei 7 anni di gestione americana. Di Francesco insiste spesso sullo scatto mentale che i giocatori hanno fatto nelle ultime settimane ma nella riconquista del terzo posto in campionato e nella qualificazione con lo Shakhtar il fattore fisico ha avuto un ruolo importante: non a caso la Roma ha segnato 12 degli ultimi 15 gol nei secondi tempi delle partite. Incluso quello di Dzeko che ha aperto la porta dei sogni.
LO SCATTO MENTALE – L’unica cosa che davvero ha fatto arrabbiare Di Francesco in questi mesi è stata l’idea diffusa, chissà come e per quale motivo, di un allenatore che avesse poco polso e scarsa personalità all’interno dello spogliatoio. C’è chi addirittura ipotizzava ad agosto, dopo la sconfitta in amichevole a Vigo, di un gruppo di senatori perplesso per lo stile di gioco proposto durante l’estate. In realtà Di Francesco non ha mai sentito di perdere contato ed empatia con il gruppo. O meglio, c’è stata qualche ora di confusione dopo il brutto ko all’Olimpico con il Milan, partita in cui tre giocatori importanti (Dzeko, De Rossi e Florenzi) erano andati in panchina. Ma attraverso un dialogo franco nello spogliatoio, in cui i giocatori hanno spiegato le loro esigenze e lo stesso ha fatto l’allenatore, la squadra si è ricompattata chiedendo a se stessa il massimo. Liberatasi dall’angoscia, non avendo niente da perdere al San Paolo contro il Napoli, ha azionato quello che Di Francesco chiama “chip mentale”. La conseguenza è stata una vittoria eccezionale, imprevedibile almeno nelle proporzioni e nella qualità. E’ nata forse lì la Roma che prova a sfidare l’Europa.