Michele Civita non doveva essere arrestato. Adriano Palozzi, invece, sì. Lo ha stabilito il tribunale del Riesame che, accogliendo la richiesta dei difensori, ha chiarito come per l’ex assessore della giunta Zingaretti non ci fossero gli estremi per i domiciliari. Misura che è stata eseguita il 13 giugno scorso durante gli arresti per l’inchiesta sulla stadio della Roma. I giudici della Libertà hanno invece confermato i domiciliari per l’ex vicepresidente del Consiglio Regionale, Adriano Palozzi ( Forza Italia). I due politici sono entrambi accusati di corruzione: avrebbero ricevuto utilità dal costruttore Luca Parnasi in cambio della loro “benevolenza”.
Per Civita, i magistrati hanno disposto l’obbligo di firma, misura che era già stata applicata il 21 giugno scorso dal giudice per le indagini preliminari. Ancora non ci sono le motivazioni, ma basta il dispositivo per capire che secondo loro non c’era alcuna necessità di ricorrere ai domiciliari. L’ex assessore dem è accusato di chiesto a Parnasi di procurare un lavoro al figlio. Si tratta di un nuovo colpo di scena nell’inchiesta dei carabinieri del nucleo investigativo coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Barbara Zuin. Appena due giorni fa, il gip Maria Paola Tomaselli aveva respinto la richiesta di scarcerazione per Parnasi. Un’istanza che i suoi difensori avevano presentato dopo l’interrogatorio fiume della scorsa settimana e alla quale la procura aveva dato parere favorevole. In quel verbale, depositato al Riesame seppur disseminato di omissis, Parnasi aveva alleggerito la posizione di Civita, descrivendolo come una persona perbene che «ha sempre fatto gli interessi dell’amministrazione». E anche rispetto alla richiesta per il figlio, il costruttore aveva precisato che: «La conferenza di servizi sullo stadio era già stata chiusa e già c’erano state le elezioni quando, con estremo imbarazzo, mi ha chiesto di trovare un lavoro per suo figlio. Gli ho fatto un favore mettendomi nei suoi panni come padre, non ho mai sostenuto Civita con erogazioni di denaro».
Tutt’altra storia quella di Palozzi. «Mi ha chiesto con estrema insistenza un aiuto economico – ha spiegato l’imprenditore ai pm – Nell’ultima campagna elettorale Palozzi mi chiamava continuamente chiedendomi un contributo ed abbiamo concordato il contratto con la Pixie ( società riconducibile all’esponente di Forza Italia), al fine di giustificare la dazione della somma di denaro. Non avevo bisogno di quel contratto né di quei servizi».