Il 28 agosto scorso un uomo entra in una casa di piazza Gramsci, a Muggiò. Ha una pistola. E non ha più pazienza. Aspetta «da troppo tempo» che gli venga pagata una fornitura di droga. Trova il suo conoscente. Gli ripete di saldare il debito: 5 mila euro. Poi gli spara: un colpo al ginocchio. Le indagini dei carabinieri di Desio durano una ventina di giorni. Il 17 settembre arrestano l’uomo che ha sparato. E si scopre così che i due erano «colleghi», entrambi con un camion dei panini sul piazzale di San Siro: ma c’è un altra traccia in questa vicenda che porta fino al «Meazza», e a uno dei fatti più drammatici nella storia della violenza da stadio a Milano. Perché l’uomo che ha sparato a Muggiò, Luca Bonalda, 46 anni, ha un vecchio precedente per «omicidio preterintenzionale». È l’unico condannato per la morte di Antonio De Falchi, tifoso romanista, morto dopo il pestaggio di un gruppo di ultrà milanisti fuori dal cancello 16 di San Siro. Era il 4 giugno 1989: Bonalda aveva 18 anni, la stessa età di De Falchi.
Storia antica, ma non dimenticata, soprattutto per chi frequenta lo stadio. Resiste ancora un’antica stratificazione di violenza (ormai più che altro verbale) nelle partite Milan-Roma a San Siro: i tifosi della Capitale lasciano spesso la scritta «De Falchi vive», e nei giorni seguenti gli ultrà milanesi aggiungono: «Sotto terra». Sfregio alla memoria. L’ultima volta è successo un paio d’anni fa.
Quella mattina del 1989, qualche ora prima della partita, De Falchi era arrivato in stazione Centrale a Milano con tre amici che, scesi dal tram in piazza Axum, si stavano avviando verso l’ingresso del settore ospiti. S’avvicinò un ragazzo. Chiese: «Scusa, hai una sigaretta?». Poi fece una seconda «prova», un’altra domanda trappola: «Sai che ora è?». A quel punto la risposta tradì l’accento romanesco: quel tizio fece un cenno, arrivò di corsa un gruppo di trenta persone, un’aggressione feroce, il ragazzo romano si rialzò dal pestaggio ma poi ricadde a terra, poco dopo morì per un infarto. «Arresto cardiaco conseguente al trauma psichico», spiegò la sentenza.
Una sentenza (molto contestata) nella quale due imputati vennero assolti per insufficienza di prove, mentre Bonalda fu l’unico condannato, a 7 anni, perché riconosciuto con certezza come uno degli aggressori sia dagli amici di De Falchi, sia da alcuni poliziotti. Nei giorni scorsi il ragazzino ultrà degli anni Ottanta è rientrato, a 46 anni, in un’ inchiesta dei carabinieri. I militari di Desio hanno accertato che tra Bonalda e il suo «collega» che viveva a Muggiò, 34 anni, ballava un debito di cocaina non pagata. Pare che fossero amici, che qualche volta avessero anche fatto le vacanze insieme. La pallottola al ginocchio non ha provocato gravi danni. In casa di Bonalda, nella zona Nord di Milano, i carabinieri hanno trovato una pistola e cinque grammi di cocaina.