«E quindi noi incrociamo le dita…», dice mamma Virginia Raggi parlando con un bagnante ad Ardea. «Per cosa?», si inserisce rapido Matteo, il figlio della sindaca mentre gioca a girarle il volto come se fosse una vite. «Incrociamo le dita per lo stadio della Roma», rispondono Raggi e un altro bagnante. E qui che Matteo, major baby, sincero e diretto come solo un bambino, riprende la mamma: «Ma perché lo devi fare? È brutto!». È sabato, la sindaca si trova al mare con la famiglia e quindi parla del più e del meno con tutti.
IL SIPARIETTO – La voce fuori campo, l’uomo che sta discutendo in quel momento con la grillina, prova a intuire il perché del giudizio di quel giudizio netto: «Allora, sei laziale!», gli fa. Ed è vero. Ma rientra in gioco Raggi che capisce di essere ripresa da un cellulare e quindi non lascia cadere il siparietto da battigia tra un bimbo e un signore maturo. È qui che l’inquilina del Campidoglio si lancia per spiegare l’operazione urbanistica-immobiliare di Tor di Valle, al di là delle sciarpe. «Non è questione di essere della Roma o della Lazio, quella è una struttura: non dobbiamo ragionare con il tifo ma capire se sia utile alla città o meno».
LE TAPPE – L’uomo, che per esclusione magari è romanista, insiste sulla bontà del progetto. E Raggi annuisce convinta. Fine della storia dal sapore di sale, poi c’è il settembre che attende anche Tor di Valle. Dopo «il parere negativo» espresso dal ministero dei Trasporti per la mancanza di ponti (a carico del costruttore) in grado di collegare la nuova area, tra pochi giorni si riaprirà la conferenza dei servizi in Regione. Ci saranno sei mesi di tempo per esaminare le criticità espresse con varie gradazioni dagli uffici di Comune e Città metropolitana e appunto anche dallo Stato, attraverso alcuni ministeri coinvolti. Sei mesi per fare chiarezza sulle tante lacune del progetto: nero su bianco. E non potranno essere scritte sulla sabbia, appunto.