È stata la sua serata. Con la Juventus l’ha indirizzata lui, sbloccando la Roma contro la rivale di sempre, nella partita da Davide (e neanche troppo o, meglio, neanche sempre) contro Golia. Come è successo ad altri romani prima di lui, da Totti a Giannini, da De Rossi a Di Bartolomei. Alessandro Florenzi è entrato nella storia dei Roma-Juve, con il suo primo gol nella sfida (tra le big ora gli manca il Napoli, le altre le ha “punite” tutte), e l’ha fatto con un colpo alla romana, il cucchiaio. E l’ha fatto con la fascia al braccio, quella che hanno indossato i suoi predecessori, dopo che un signore del calcio troppe volte poco signore, Cristiano Ronaldo, lo aveva sbeffeggiato per una sua caratteristica fisica.
Essere alto uno e settantatré non è certo un disonore né, più stupidamente, ti vieta di parlare. Anche perché saggezza popolare vuole che a letto e sul campo di calcio l’altezza conta relativamente. E poi c’è altezza e altezza. «Ronaldo è il Pallone d’oro e pensa di poter fare quello che vuole», ha spiegato Florenzi a fine partita, in merito all’episodio con il numero 7 juventino. «Ma sono cose che succedono in campo e lì rimangono», ha aggiunto. Mai una parola fuori posto, mai una polemica “oltre”. Perché alla fine della fiera è finito tutto in un abbraccio. Perché nel calcio certe cose “ci stanno”. Resta un fatto, però: si può essere Pallone d’Oro fuori, ma un po’ meno dentro, se spesso e volentieri ci si lascia andare a certi atteggiamenti. Alessandro però ha preferito «continuare a giocare», anche perché è meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani, anche perché, forse, sapeva in cuor suo di poter diventare il supereroe in grado di sparare la ragnatela che avrebbe tenuto aggrappata ancora la Roma alla qualificazione in qualche coppa europea. (…)
FONTE: Il Romanista – G. Fasan