E se i tifosi della Roma dovessero alla fine ringraziare chi ha deciso, chiunque esso sia, una così sgradevole conclusione del rapporto tra De Rossi e la Roma? Non c’è dubbio che abbia dato loro un’occasione irripetibile per sbottare, per sfogarsi dopo delusioni, sofferenze. Non una, non le ultime. Tante. Tanta rabbia accumulata perché la Roma, come si leggeva ieri in uno striscione, «è una leggenda…e non un’azienda».
E dentro la cornice della rima giù sostantivi pesanti rivolti alla dirigenza, a quella che c’è e a quella che non c’è (mai stata). Totti escluso. Raccontano che durante la manifestazione di ieri dei 2 mila davanti alla nuova sede sociale dell’Eur, una sagoma nota sia apparsa in controluce alla finestra. Se fosse veramente quella di Baldissoni, poco importa. Anzi meglio la vaghezza: era la sfumata immagine, senza volto, di un profilo societario che non riesce a gestire bandiere e futuro e che in questo cortocircuito temporale riesce persino a far svanire quel presente secondo il quale la Roma dovrebbe oggi giocare a Reggio Emilia contro il Sassuolo per inseguire un’altra tremolante silhouette: la Champions della prossima stagione.
«Ho vissuto tante cose nella mia carriera, ma uno come De Rossi nella mia vita no, proprio non l’ho mai visto. Così appassionato, legato ai colori. Tutti, a breve, si renderanno conto di cosa sia stato Daniele per la Roma». Sono parole di un altro senatore in rampa di lancio, Aleksandar Kolarov. Il serbo sbaglia solo in un dato: non a breve ma subito, non domani ma già oggi si sente il vuoto. Il peccato grave di quest’acida fine non è stabilire quanto De Rossi avrebbe ancora potuto dare alla sua Roma in campo, cosa farà adesso (Sudamerica? Nordamerica? Niente?) e per quanto tempo.
Non pesa la tristezza che vivranno tutti domenica 26 all’Olimpico nell’ultima di campionato con il Parma. Il vero dramma è che a De Rossi non è stata data la possibilità di allontanarsi scegliendo lui il modo, i tempi, lo stile. Via, senza dignità. Via perché sei vecchio. Ogni cosa, alla Roma, finisce con un scricchiolìo sinistro. Ma non è quello del giocatore che smette, né quello delle sue ginocchia, magari stanche. È la società che continua senza di lui, a scricchiolare-
FONTE: La Repubblica – E. Sisti