Prima l’inchiesta sulla rete di relazioni imbastita dal costruttore Luca Parnasi, titolare di Eurnova e dei terreni di Tor di Valle su cui dovrebbe essere realizzato lo stadio della Roma. E da lì l’indagine per corruzione che ha portato all’arresto dello stesso imprenditore e del presidente di Acea, l’ex braccio destro della sindaca Virginia Raggi, Luca Lanzalone.
Poi da quel filone, dal terremoto che ha sfiorato anche la giunta con le accuse (archiviate) all’assessore allo Sport Daniele Frongia, la seconda batosta per il Campidoglio pentastellato: il filone legato ai grandi affari dell’urbanistica capitolina, compresi gli ex Mercati Generali, che ha portato in carcere il presidente grillino del consiglio comunale Marcello De Vito. Sempre per corruzione.
Ora è coinvolta anche la sindaca. Virginia Raggi è indagata per abuso d’ufficio, proprio per lo Stadio della Roma su cui la giunta e la maggioranza grillina sembravano finalmente avere le idee chiare: «Andiamo avanti». E ora? Le carte si rimescolano ancora una volta. Paradosso: a mettere nei guai la prima cittadina è un esposto firmato da un vecchio amico. Da chi, ai tempi della campagna elettorale, aveva messo in campo tutte le sue forze e affittato al comitato di Raggi un locale all’Ostiense.
L’identikit è quello dell’architetto Francesco Sanvitto. Grillino della prima ora — e per questo primo dei delusi dalle modalità di governo dei pentastellati capitolini — commenta così la notizia dell’indagine a carico dell’inquilina di palazzo Senatorio: «Ero certo che al mio esposto sarebbe seguita un’indagine. Ci sono delle norme di legge. Sono state accantonate e ognuno ha fatto come gli pareva».
Quel che più infastidisce e soprende l’urbanista, adesso vicino alle posizioni della consigliera ex 5S Cristina Grancio e all’ex assessore Paolo Berdini, è la posizione assunta nei mesi dalla sindaca: «Al tavolo dell’urbanistica degli attivisti grillini — racconta — Virginia diceva che lo stadio non si doveva fare. Scriveva sui blog contro quel progetto. Parlava di imbroglio, aveva capito benissimo quale fosse la situazione. Ne abbiamo parlato tante volte prima che andasse in Comune. Sa tutto di Tor di Valle. Ed è qui che la storia non funziona. Secondo me è il sistema che è corrotto, non le persone. Non i partiti. Dico a livello burocratico e tecnico. Si deforma la lettura delle leggi. Per questo ho presentato l’esposto».
Una denuncia che ora rischia di mettere una volta di più in apprensione la sindaca e la già provata maggioranza 5 Stelle. Sanvitto, rileggendo le carte, entra nel tecnico. E spiega perché ha chiesto alla procura di approfondire la questione legata al percorso del progetto. «La Regione ha seguito l’iter e la conferenza dei servizi ha adottato un progetto. Lo ha consegnato alla sindaca, dicendole che tutta la documentazione avrebbe dovuto prendere la strada dell’aula Giulio Cesare, approdando in aula al primo consiglio utile».
Così non è stato: «L’apparato burocratico del Comune — riprende l’architetto — si è inventato altro. Così il progetto invece di andare in Assemblea capitolina, dove sarebbe stato discusso a lungo, è stato direttamente affisso in albo pretorio per le controdeduzioni dei residenti e dei comitati interessati. Tutto contro la legge, un abuso di potere per avvantaggiare i privati e accorciare i tempi».
Questione di trasparenza, per chi si fa difensore dei valori originari del Movimento: «La colpa non è neanche tanto della sindaca, quanto dell’apparato che la circonda. Manca trasparenza e un progetto definitivo. I computi metrici delle opere pubbliche non si trovano. Chi li ha visti?». A rispondere sarà la procura.
FONTE: La Repubblica – L. D’Albergo / F. Salvatore