Il flash back è stato immediato, martedì sera, e al tempo stesso ingombrante. Vedere la corsa di Zaniolo sotto la Sud, in piena full immersion di gioia con la gente, e pensare subito a Totti, perché la storia del Capitano sta sempre lì. Meglio chiarirlo in partenza: nessuno lancia il paragone, essendo proprio il tempo a impedirlo. Il semestre di Niccolò non si può accostare alle nozze d’argento di Francesco con la Roma. A quei 25 anni che hanno certificato il paradosso più incredibile: l’apoteosi nella fine, in quel pomeriggio del 28 maggio 2017. Ma è proprio l’addio del campione più amato a dare un senso alla nuova storia. Quel giorno ogni tifoso ha guardato il calendario senza poter evidenziare una data in cui provare con un altro giocatore le stesse emozioni trasmesse dalle le gesta del bimbo d’oro di Porta Metronia. Chissà quanto c’è da aspettare per l’appuntamento con il talento dei sogni. Che biondo e allegro pure lui, è uscito fuori dal cilindro, di solito vuoto a perdere. Da non crederci, è già qui, come si è accorto il pubblico dell’Olimpico. La vita è (di nuovo) bella dentro quella maglia: 10 o 22, stessi brividi.
VISTA SUL CAMPIONE Al cilindro si è dedicato il mago. Anzi, il Mancio. Perché Mancini, adesso è difficile far finta di niente, chiamò Zaniolo il 1° settembre tra i 31 convocati dell’Italia, impegnata nelle partite di Nations League contro la Polonia e il Portogallo. Niccolò in campo a Coverciano senza aver ancora giocato neanche un secondo con la Roma. Oggi fa ridere l’insinuazione confezionata per quella chiamata: il ct che fa un favore all’Inter per esaltare la plusvalenza del club nerazzurro. Che non sa più che cosa raccontare sulla svista d’estate, identica a quella della Fiorentina di Corvino. Il 19 settembre, ancora il cilindro. Dal palcoscenico sotto la collina di Fiesole al tempio di Madrid: Zaniolo spunta nella formazione titolare e, senza ancora aver giocato in serie A, debutta in Champions al Bernabeu contro il Real. E’ notte d’estate e di stelle. Di Francesco, però, avanza tra i fulmini. Bocciato l’azzardo, senza chiedersi perché. È stato l’allenatore, a fine mercato, a tenersi stretto Niccolò, proposto al Chievo e al Sassuolo in prestito. L’altra faccia del mago. Quella romanista che non è così diversa dall’altra tinta di azzurro. Eusebio lo lancia, accompagnandolo nel futuro: mezzala, trequartista, falso nove, all’occorrenza pure playmaker e adesso esterno alto offensivo. Bastano 22 partite e 5 reti per farlo recitare da universale, il ruolo non è la gabbia. Appena ci mette piede, fa da molla. La personalità e il carattere sono le chiavi per entrare in squadra. Si diverte, anche a fare il cattivo. E diverte, trascinandosi dietro la tifoseria.
SENZA PREZZO Pallotta lo battezza: leader. L’Uefa l’incorona. È unico nel nostro calcio: primo italiano diciannovenne a segnare una doppietta in Champions. Il mercato, invece, lo quota. C’è da sbizzarrirsi. L’unità di misura in serie A, almeno la più recente, è Piatek: il Milan ha pagato il centravanti, classe 1995, 35 milioni. Il Cagliari, invece, ne chiede 50 per il centrocampista Barella, classe 1997. Il Real ha speso per l’attaccante Vinicius, classe 2000, addirittura 45 milioni. Il Psg ne ha investiti 180 per Mbappé, classe 1998. Zaniolo, valutato 4,5 milioni l’estate scorsa, lievita di partita in partita. Il dibattito è d’attualità: 40, 50 o 70 milioni, fate il vostro gioco. Almeno dieci volte (o quindici) dal prezzo iniziale. Ma a Trigoria, dove al momento non è fissato alcun incontro per il rinnovo del contratto (scadenza 2023 e ingaggio da 270 mila euro più bonus che diventerà a fine stagione di 2 milioni, se non addirittura 2,5), devono finalmente entrare nel mondo della Favola. Che vale la pena leggere e approfondire per capire che cosa si prova. Non per pochi mesi. E magari nemmeno per altri 25 anni, perché sembra chiedere troppo. Zaniolo non è Totti, ma godiamocelo come possibile erede al trono. Che è qui e colorato di giallorosso.