Premesso che per un giudice è indubbiamente più facile emettere un verdetto perché per individuare il bene (o il lecito) e il male (o, meglio, l’illecito) basta lasciarsi guidare dal codice, mentre invece nel calcio il bene e il male si confondono troppo facilmente per via del risultato che a volte copre le magagne e altre penalizza le buone idee, stavolta si può essere più o meno tutti d’accordo sul fatto che le difficoltà della Roma in questo inizio di stagione lascino intravedere delle precise responsabilità nell’allenatore, Eusebio Di Francesco. Per chi scrive, la più grave delle quali sta nella decisione di aver assecondato tutti quelli che fuori da Trigoria (e forse qualcuno anche dentro) continuava a fargli arrivare il messaggio che il 433 non è adatto a questa squadra. E quindi con sole due sedute di allenamento specifico (proprio lui, che è il fautore della teoria secondo cui non si improvvisa niente nel calcio, ma tutto va studiato a lungo in allenamento) ha cambiato l’assetto della sua squadra proprio contro una squadra che sviluppa il suo gioco con un 433 lineare, con scaglionamenti difensivi massicci nelle zone centrali e meno organici sulle fasce, nel primo tempo completamente abbandonate dalla Roma.
Una manna per Gattuso Al Milan non è parso vero di ritrovarsi col compito facilitato sia in fase di non possesso (mai un cambio di gioco deciso sugli esterni romanisti, solo passaggi orizzontali lenti e tentate imbucate centrali dove i rossoneri erano sempre in superiorità numerica) sia nello sviluppo offensivo. Già al 3′ è bastato un giro palla veloce milanista da destra a sinistra passando dal portiere per far trovare Nzonzi fuori posizione (dopo la pressione alta lassù), con lenti accoppiamenti Karsdorp-Rodriguez, Pastore-Biglia, De Rossi verso Kessie e Bonaventura libero di ricevere, girarsi e mandare in verticale nel vuoto Higuain con Fazio a rincorrere: per fortuna ha funzionato il fuorigioco (uno dei pochi fattori da salvare: 7 offensive avversarie salvate così) e il pericolo è stato scampato. Ma il campanello d’allarme non ha detto niente al tecnico che ha solo chiesto maggior coraggio ai suoi, ricevendo in cambio però il contrario. Altro motivo di perplessità. Significativo, al riguardo, l’atteggiamento di Dzeko: non avendo presumibilmente alcuna voglia di chiudere esternamente sui terzini (se Pastore controllava Biglia, in teoria i due attaccanti dovevano spartirsi le pressioni esterne), andava sempre lento a chiudere, col risultato di vanificare ogni tentativo di pressing (esempio, minuto 22,30). Perché invece l’Atalanta quattro giorni prima all’Olimpico con lo stesso 3412 copriva così bene la fase di non possesso? Facile: perché loro vanno a uomo in ogni zona del campo. Di Francesco chiede invece giocatori pensanti e se non tutti hanno voglia di pensare, il risultato è quello che abbiamo visto.
Stop alla difesa a tre? (…)
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