La rincorsa Champions per la Roma era nata con un peccato originale: per sperare di riuscire a centrare l’obiettivo, non bisognava sbagliare mai. Inevitabile, dopo aver gettato via sei mesi per difendere il ricordo della semifinale di un anno fa. L’1-1 col Genoa a Marassi rischia di essere ricordato come la lapide sulle speranze. Eppure poteva andare persino peggio.
A recupero esaurito, la Roma che aveva pensato di aver già vinto ha sfiorato il fondo del pozzo: un rigore sacrosanto con Mirante ad affondare l’ex romanista Sanabria. Convinto nell’andare sul dischetto facendo infuriare Prandelli, che dalla panchina chiedeva fosse Criscito a tirare. Un presentimento forse: l’errore di Sanabria – o la parata di Mirante – fa sì oggi che sperare ancora nel 4° posto a Roma non sia un atto puramente fideistico.
In ogni caso, la squadra è franata nelle certezze che riteneva acquisite: la difesa, capace di incassare un solo gol nelle ultime quattro uscite, ha rischiato di prenderne due – quello realizzato da Romero, il rigore disinnescato da Mirante – nei soli 6 minuti di recupero. Quando s’è sciolta come se a quel punto il successo le spettasse per diritto divino, complice l’ingresso svogliato di Schick, che nemmeno l’aria del “suo” Marassi defibrilla più.
Non che la Roma avesse meritato negli 80 minuti che avevano preceduto il gol di El Shaarawy, abbonato da tre anni esatti a fare male al club che lo ha svezzato. «Avremmo potuto anche perderla, ma è un’occasione persa», ha mugugnato alla fine. Come Ranieri, che annaffiando la polemica con la Lazio («Scansàti con l’Atalanta? Non mi fate domande, non ho mai fatto allusioni») è parso quasi rassegnato: «Non è finita, facciamo 9 punti e vediamo un po’. Ma dobbiamo sempre sperare in qualcosa».
Perché adesso è diventata durissima: il Milan oggi stesso potrebbe raggiungerla (e superarla per i confronti diretti), ma soprattutto l’Atalanta quarta è lontana 3 punti (ed è in vantaggio per differenza reti sui giallorossi). E la Juventus, storica nemica delle ambizioni romaniste, a fare da arbitro della corsa: domenica affronterà i giallorossi, sette giorni dopo i bergamaschi di Gasperini. Paradossalmente, proprio lui rappresenta l’ultima idea per la panchina romanista: perché la settimana chiusa dal passo falso genovese s’era aperta con il presentimento di dover rinunciare al sogno di ingaggiare Conte, per la verità non del tutto tramontato. Curioso che la sfida a distanza tra Atalanta e Roma fosse evocata, già prima della partita, da uno striscione esposto dalla curva nord genoana: “Belin, come gioca l’Atalanta!”.
Era un modo per manifestare il rimpianto per i risultati di Gasperini, che Preziosi pagò, e tanto – 400mila euro per ogni stagione residua di contratto – perché se ne andasse a Bergamo. Rimpianti, da mescolare a quelli per il rigore che avrebbe di fatto consegnato una salvezza se non algebrica almeno virtuale. Con il pari di Romero ha comunque tenuto la distanza di sicurezza – 4 punti – dall’Empoli terzultimo. Criscito s’è preso il lusso di sgonfiare il “caso” del rigore conteso: «Il rigorista all’inizio ero io, ma poi è entrato Sanabria e come tiratore viene lui prima di me. Peccato, potevamo vincere». Eppure alla Roma è rimasta la sensazione di aver perso: almeno un’occasione.
FONTE: La Repubblica – M. Pinci