La vicenda dello stadio della Roma è paradigmatica di come il sistema Italia sia sempre meno ricettivo rispetto a investimenti di largo respiro. A giugno 2018 gli inquirenti Ielo e Zuin hanno portato a galla la rete di improprie relazioni che Luca Parnasi, dominus di Euronova e Luca Lanzalone, l’avvocato genovese consulente dell’amministrazione Raggi, avevano messo in atto per velocizzare il dossier “Tor di Valle” e avviare lucrosi affari anche in altre città all’ombra del neonato governo giallo-verde. Ora a finire agli arresti è stato, tra gli altri, il presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, anch’egli del Movimento Cinque Stelle in un altro filone dell’indagine denominato “Congiunzione astrale” (risulta indagato anche l’assessore allo Sport del Comune di Roma, Daniele Frongia, per una vicenda collaterale risalente al 2017).
Investimento da 1,1 miliardi – La Procura romana dovrà appurare le responsabilità di chi ha trafficato intorno alla procedura amministrativa del nuovo stadio giallorosso, concedendo o pretendendo favori in cambio di atti dovuti. Intanto però il danno è certo e immediato. D’immagine per un Paese “inidoneo” ad attrarre investimenti e concretizzare opere di rilievo. Economico per il club giallorosso e la proprietà Usa impegnata in un progetto da 1,1 miliardi (300 circa per l’impianto sportivo, e con 70 milioni già spesi nelle fasi preliminari) e che dal 2012 attende la conclusione dell’iter amministrativo.
Nella lunga e tortuosa procedura che in questi anni ha condotto al riconoscimento dell’interesse pubblico e al sostanziale via libera del Campidoglio e della Conferenza regionale dei servizi sono intervenuti diversi organi istituzionali e centinaia di professionisti. Per cui o si dimostra che la volontà espressa dalla Autorità pubblica è stata inficiata e coartata con fini e modalità illecite (come nel supposto caso del vincolo architettonico sulle tribune disegnate da Julio Lafuente nel 1959 in un ippodromo comunque già da tempo dismesso e in abbandono) oppure gli enti locali hanno il dovere di portare a termine l’iter (tecnicamente mancano l’approvazione della variante urbanistica e della convenzione da parte del Comune e il permesso a costruire da parte della Regione) e i soggetti privati il “diritto” di aprire il cantiere. La Procura del resto ha già reso noto che la As Roma e il suo management non sono coinvolti nelle indagini e con le dimissioni di Parnasi e la nomina del nuovo amministratore di Eurnova, la holding del gruppo Parnasi, non sussistono motivi per giustificare ulteriori dilazioni. I controlli interni che la Giunta Raggi riterrà ancora di eseguire non dovrebbero tramutarsi in alibi per congelare tutto sine die.
Cantiere e project financing – Il presidente giallorosso James Pallotta ha acquisito i terreni di Tor di Valle e subentrerà a Eurnova nelle quote sul progetto stadio con una spesa di circa 100 milioni )Parnasi li aveva a sua volta rilevati dalla famiglia Papalia per circa 40).
Già all’epoca dell’alleanza con Parnasi d’altronde la As Roma e la sua holding di controllo erano gli unici affidatari dello sviluppo dell’impianto sportivo e dell’entertainment Center (attraverso Stadio Tdv, società deputata alla gestione e al finanziamento del progetto ‘Stadio della Roma’, il cui capitale sociale è interamente detenuto da Neep, azionista di maggioranza del club).
Parnasi e le sue aziende erano invece responsabili dell’edificazione del Business Center. In questi mesi la Roma ha lavorato al project financing da circa 800 milioni, una parte in equity e una a debito (intorno al 70%) per lo stadio e le sue “pertinenze” (dal museo alla “nuova Trigoria” per gli allenamenti). Goldman Sachs ha il compito di raccoglie le adesioni dei finanziatori (una quota dovrebbe essere sottoscritta dal Credito sportivo). Club e proprietà speravano di inaugurare il cantiere entro la fine dell’anno per un impegno di circa due anni e mezzo. Un piano che rischia di essere rallentato da queste nuove nubi giudiziarie.