A pensarci bene, ma non serviva una laurea in matematica per accorgersene, la differenza tra la Juventus capolista e la Roma che insegue sta tutta nello scontro diretto dello scorso 17 dicembre, deciso dalla prodezza di Gonzalo Higuain. Perché proprio i tre punti conquistati quella sera consentono alla squadra di Max Allegri di stare oggi a +6 sui giallorossi. Se il risultato fosse stato inverso, cioè se avesse vinto la Roma, oggi la classifica vedrebbe le due rivali appaiate in testa. E un pareggio avrebbe consentito alla squadra di Luciano Spalletti di inseguire a meno tre. E con lo scontro diretto di ritorno da giocare all’Olimpico. Tutto questo per dire che la Roma, almeno in campionato, sta provando in tutti i modi a tenere aperti i giochi, grazie anche al suo strepitoso girone di ritorno con un parziale di 30 punti. E nessuno, neppure la Juventus (29), è riuscita a fare meglio. Non è il momento, questo, per fare bilanci: adesso serve soltanto pensare alle prossime sette partite e tentare di far più punti possibile.
DUE FACCE – Ma già oggi i rimpianti per quello che poteva essere e non è stato oltre i confini del campionato non sono pochi. E neppure piccoli. Ognuno, però, è padrone del proprio destino e le colpe per i flop in Europa e in Coppa Italia non possono essere attribuite ad altri. Se mai, dovranno essere usate, sfruttate per evitare di concedere il bis tra dodici mesi. Con o senza Spalletti sulla panchina giallorossa. Ma qui siano già nel futuro e, vista la situazione attuale, conviene restare con i piedi ben piantati per terra per non sprecare nulla. In attesa del fischio finale della stagione, la Roma viaggia accompagnata da numeri scintillanti che finora, però, non hanno portato a nulla tranne che al meno 6 dalla Juve. Un esempio: Dzeko e Salah, in tandem, sono arrivati a 49 gol, 34 Edin e 15 Momo. Il bosniaco, respingendo l’attacco di Belotti, è ancora al comando della classifica dei cannonieri del campionato con 24 centri. La Roma complessivamente ha segnato 103 reti in 47 appuntamenti stagionali. Segno che l’attacco funziona, che il gol non rappresenta un problema. E, allora, se una squadra ha una media di 2,19 gol a partita come mai a metà aprile si ritrova a dover rincorrere, e con affanno, la prima della classe in Serie A e basta? È soltanto una questione di fase difensiva non all’altezza? Troppo facile, così. Meglio tirare in ballo la parola personalità, che non si allena ma si può comprare al (calcio)mercato.