A chi verrebbe in mente, dovendo affrontare un’impresa, di alloggiare all’hotel Titanic? Alla Roma evidentemente sono meno scaramantici del presidente Pallotta, ma forse perché ai paradossi sono abituati. Non è forse paradossale inseguire una finale di Champions League partendo da Liverpool, il “nemico” che ti tolse la gioia di vincerla in casa. E giocarsela al primo anno senza il tuo giocatore più forte. Un anno fa, Monchi abbatteva il totem Totti: con dolcezza, convincendolo a guardare avanti e non indietro. Parevano le basi perché questo fosse una sorta di anno zero, quello in cui i fedeli di una religione improvvisamente decapitata cercano di capire che direzione prendere senza il loro messia. Invece è successo altro. Che la squadra senza Totti si ritrovi a giocare la semifinale di Champions League, a Liverpool, riannodando il filo della storia strappato 34 anni fa. Come se si fosse improvvisamente emancipata da un padre affettuoso ma troppo presente. «Francesco è una luce abbagliante, che non smette di brillare, ma di fatto questo è un tappo per chi sta dietro » , aveva detto l’ex ds Sabatini lasciando Trigoria: pare quasi una profezia, oggi che è saltato quel tappo la Roma ha lasciato uscire tutte le proprie bollicine.
Totti aveva smesso con un cruccio: più di uno scudetto- bis, alla sua carriera romanista era mancata proprio l’affermazione in Europa. La Champions l’aveva giocata sporadicamente e abbandonata al massimo ai quarti, anche quando il mondo lo guardava come la star del calcio italiano, candidandolo al Pallone d’Oro. Chissà che sensazioni hanno attraversato il suo cuore quando ha visto la Roma, che aveva lasciato orfana e commossa il 28 maggio, riuscire dove lui non era riuscito mai: eliminare il Barcellona e arrivare qui, a giocarsi in due atti un biglietto per la finale di Kiev. Di Francesco, che avrebbe voluto allenarlo, nella sua assenza ha ricreato un gruppo e una squadra persino più forti. In cui Totti ha saputo ritagliarsi uno spazio nuovo, da “spalla”: del tecnico, per gestire le tensioni. Dei calciatori, per mediare col club come quando aiutò Nainggolan a gestire le scorie del video blasfemo di capodanno. Perché è riuscito ad abbandonare gli scarpini, ma non quello spogliatoio in cui aveva trascorso gli ultimi 25 anni di vita.
E in fondo non è andata in modo molto diverso al Liverpool, che la semifinale tornerà a giocarla esattamente 10 anni dopo l’ultima volta. Il punto più alto di una lunga ascesa, iniziata nel 2015: l’anno dell’arrivo di Jürgen Klopp, ma pure quello dell’addio del mito Steven Gerrard. Forse uno dei pochissimi calciatori al mondo paragonabili a Totti per identificazione con la propria squadra: lui a staccarsi ci aveva provato, volando a Los Angeles. Era tornato un anno dopo, perché il bisogno di casa era lo stesso di Francesco: oggi allena i ragazzini di 17 anni delle giovanili dei Reds, che quasi per gratitudine acquisteranno, affidandoglielo, il talento di suo cugino 16enne, Bobby Duncan. Come a sperare in un’eredità.
Oggi Totti e Gerrard vedranno ad Anfield un incontro atteso da 16 anni. Ma la Roma abbatterà un altro tabù: dopo cinque anni, sulla divisa tornerà un marchio, la Qatar Airways, nuovo sponsor da 40 milioni in 3 anni. Curiosamente, “strappato” al Barcellona: come il pass per questa semifinale.