La stretta di mano ora c’è, certo. Anche il placet di Beppe Grillo: a trattativa risolta, prime ore di ieri, il garante del Movimento ha sentito Alfonso Bonafede, l’onorevole 5S inviato in Campidoglio per fare da stampella alla sindaca Virginia Raggi: «Complimenti per il risultato». Ma l’augurio del comico genovese non basta. Per far quadrare i conti del nuovo stadio della Roma nella sua versione bis, adesso serve un’operazione di alta ingegneria amministrativa.
Il taglio di cubature (48 per cento del totale, 59,9 del business park per un piano 2.0 da 598mila metri cubi) è solo il primo passo per il Campidoglio grillino. Il team Raggi è infatti convinto che si possa arrivare a dama in un paio di mosse. Eccole: contando sul rinvio della conclusione della conferenza dei servizi che la Roma chiederà per sciogliere il nodo del vincolo della Soprintendenza sull’ex Ippodromo di Tor di Valle, il team Raggi punta alla revisione della delibera di pubblica utilità varata durante l’amministrazione Marino. Passaggio in giunta, nei municipi e poi in consiglio comunale. L’atto — questa l’idea che stuzzica il M5S — non conterrà alcun taglio di opere pubbliche. Solo una «fasizzazione», con il rinvio di parte degli interventi in un secondo momento. E, soprattutto, puntando su fondi statali.
Primo caso: i trasporti. Saltato il prolungamento della metro B e salvato il raddoppio della via del Mare, resta il caso della Roma-Lido. Il Comune punta sui 180 milioni che il Cipe ha riservato alla Regione per la revisione della linea. E i treni? Da 15 sono diventati uno, al massimo due, per un risparmio di nove milioni di euro per ogni convoglio tagliato. Dieci saranno investiti per la stazione. Capitolo ponte. Il gran maquillage prevede un’altra richiesta al governo: dirottare i 150 milioni del ponte dei Congressi sul ponte dello stadio e la bretella che congiungerà il Gra e la Roma-Fiumicino a Tor di Valle.
Conto finale di 90 milioni, con un risparmio di 60. Così, secondo il Campidoglio, si arriverà al via libera al progetto di Roma e Parnasi senza una seconda conferenza dei servizi. I proponenti a loro volta si dicono soddisfatti: «Dal punto di vista economico non cambia nulla. Stadio e convivio (campi di allenamento e Roma store, OES) non sono stati toccati». In realtà l’arena giallorossa passerà da 60mila a 55mila posti. Oltre alle tre torri di Libeskind, sostituite da 18 edifici da 6 o 7 piani di altezza, saranno poi tagliati i quattro pontili previsti nel progetto originale.
Il nuovo rendering sarà presto sottoposto ai consiglieri grillini, anche ai più scettici. A chi teme che prima o poi possa tornare in auge il primo piano da 1 milione di metri cubi. Tra loro ci sono le tre elette che, al netto dei tagli, hanno votato contro lo stadio: Mariani, Agnello e Catini. Del gruppo fa parte anche Cristina Grancio. L’ortodossa, da sempre contro il cemento a Tor di Valle, si è astenuta per poi scrivere una lunga lettera alla sindaca e «ricordare che nel M5S ci sono posizioni diverse». A loro volta Zotta e Guerrini hanno lasciato il Campidoglio prima di votare. «Si andrà comunque avanti insieme, compatti», fa però sapere la maggioranza. In una rivisitazione a 5 Stelle del vecchio “centralismo democratico”.
Le divisioni interne, insomma si dovrebbero appianare in aula Giulio Cesare. Intanto, in aggiunta alla bocciatura via Twitter della consigliera regionale M5S Silvana Denicolò, si apre anche un caso nella squadra dell’assessore al Bilancio Andrea Mazzillo. Il suo nuovo capo staff da 90mila euro all’anno, l’ultragrillino Andrea Tardito, storce il naso su Facebook: «Il risultato per ora è deludente: da cubature abnormi si è scesi a cubature enormi. L’importante è non ritrovarci tipo vela di Calatrava».